LEGGE DELLA DISCORDIA / IL RAPPORTO 2004
Aborto anno nero - di Chiara Valentini
Per la prima volta aumentano le interruzioni di gravidanza. Mentre torna la piaga degli interventi clandestini. E negli ospedali è boom dei ginecologi obiettori
Un campanello d'allarme inaspettato suona in questi giorni in Italia. Per la prima volta dal lontano 1983, l'anno del picco con 234 mila casi, gli aborti nel nostro paese non solo hanno smesso di calare, ma sono aumentati di ben 4.500 unità. Ce lo dice, con la chiarezza incontrovertibile delle cifre, la relazione annuale del ministero della Salute, che raccoglie i dati completi e dettagliati dell'Istituto superiore di Sanità per il 2003 e quelli generali del 2004. Siamo infatti passati dai 132 mila 170 aborti del 2003 ai 136 mila 700 del 2400, con un incremento del 3,4 per cento. Il dato continua a essere piuttosto basso rispetto alle media europea. E la relazione del ministro cerca di rassicurarci, sostenendo che la crescita non dipende dalle italiane, ma dalle straniere, come dimostra il fatto che gli aumenti si registrano nelle regioni del Centro-Nord, dove gli immigrati sono sempre più numerosi. A parte il fatto che per ora i dati analitici sul 2004 non ci sono, non è certo una buona notizia che la parte più debole e sprovveduta delle abitanti del nostro paese trovi un sistema sanitario che fatica ad aiutarle. D'altra parte proprio l'attuale ministro della Salute Francesco Storace, da governatore del Lazio, aveva fatto chiudere 21 reparti di interruzione di gravidanza, provocando il sovraffollamento negli ospedali e liste d'attesa di almeno tre settimane, troppe per chi non sa muoversi nel mare della burocrazia.
"Le immigrate, che rischiano le gravidanze indesiderate in misura tripla rispetto alle italiane, hanno invece un gran bisogno di essere assistite e consigliate, anche perché nel primo anno dal trasferimento vivono uno choc da spaesamento che le rende estremamente vulnerabili", dice Valeria Dubini, ginecologa all'ospedale Misericordia e Dolce di Prato, dove l'anno scorso il 49 per cento delle Ivg sono state fatte da straniere. Non c'è solo l'aumento certificato dalle cifre ufficiali. Il nostro sistema abbastanza complesso di richieste, la scarsità di mediatori culturali e il poco coordinamento fra consultori e ospedali spiegano perché stia tornando alla ribalta una pratica che sembrava debellata, l'aborto clandestino. Proprio a Prato sono stati scoperti più volte ambulatori di Ivg in nero per le cinesi. E un po' dappertutto in Italia i medici raccontano di nigeriane, di rumene o di sudamericane che arrivano in ospedale con sintomi di avvelenamento per improbabili decotti, o con emorragie da pastiglie che provocano le contrazioni dell'utero, o con i postumi di raschiamenti devastanti, fatti per poche centinaia di euro. "Pochi giorni fa è venuta da noi una giovane donna russa molto spaventata, una badante. Abbiamo cercato di spiegarle che era vicino al limite massimo e bisognava intervenire subito. Lei probabilmente non ha capito. Pensava solo a correre a casa perché temeva i rimproveri, ed è tornata quando ormai era troppo tardi. Ancora mi sto chiedendo con angoscia che cosa le sarà successo", dice Elisabetta Canipano, ginecologa al servizio Ivg dell'ospedale Grassi di Ostia ed esponente dell'associazione Vita di donna (www.vitadidonna.it).
L'aborto clandestino non è solo una questione di immigrate. La relazione del ministro della Salute si limita a stimare questi aborti attorno alla modesta cifra di 20 mila. Ma aggiunge anche che per il 90 per cento riguardano le donne del Sud. E questo dimostra che qualcosa non torna. Nel Mezzogiorno infatti la presenza delle immigrate è molto bassa, quindi le 'loro' interruzioni di gravidanza al Centro-Nord evidentemente non sono entrate nel calcolo. Se poi cerchiamo di capire chi sono queste italiane che si rifugiano nella clandestinità vediamo che, accanto alle donne meno istruite e sposate con molti figli, una discreta percentuale è rappresentata dalle giovanissime. Specie in provincia non vogliono far sapere in giro di essere rimaste incinte e con mille, 2 mila euro risolvono il problema in un ambulatorio o anche in una clinica compiacente, dove la loro Ivg verrà fatta passare per aborto spontaneo. In aumento intanto sono le gravidanze del sabato sera, frutto dei rapporti occasionali da dopo discoteca, come spiega la ginecologa Paola Piattelli, che riceve le ragazze in un ambulatorio romano dell'Aied. "Spesso vengono da noi perché non vogliono dire in famiglia quel che è successo e hanno bisogno di aiuto", dice Piattelli. Secondo la legge perché una minorenne possa abortire ci vuole l'assenso dei genitori. Se non c'è, spetta al giudice tutelare esprimersi, rispettando però la volontà della ragazza.
Nel clima di difesa a oltranza della vita che ha guadagnato spazio con il referendum sulla procreazione assistita, c'è chi ha paura di finire nei guai e tira alle lunghe. Probabilmente sono pochi. Non lo sono invece i ginecologi che perfino in certi consultori rispediscono a mani vuote le minorenni che arrivano disperate chiedendo la pillola del giorno dopo. Anche se si tratta di un anticoncezionale e non di un abortivo, viene opposta l'obiezione di coscienza. Questi alfieri della moralità, a cui poco importa se quella ragazza dovrà poi ricorrere a un aborto, sono l'avanguardia dell'esercito degli obiettori, che poco a poco sta erodendo dall'interno la struttura bene o male ancora funzionante della nostra interruzione volontaria di gravidanza. Nel 2003 i ginecologi che avevano obiettato erano quasi il 58 per cento, con punte del 68 in Lombardia, del 77 in Lazio, dell'80,5 in Veneto. Per non parlare degli anestesisti (quasi il 46 per cento) e del personale paramedico, cioè infermiere e portantini, che poco hanno a che fare con l'intervento e che pure rifiutano contatti con "quelle dell'aborto" nel 38 per cento dei casi. Pensata per dare la possibilità a chi ha riserve di carattere religioso o morale di non andare contro alla propria coscienza, l'obiezione è diventata in molti casi una comoda scappatoia per evitare interventi che non danno fama né proventi, ma possono solo danneggiare la carriera. Sono infatti obiettori la maggioranza dei primari di ginecologia, e a volte sono obiettori del genere di Leandro Aletti dell'ospedale di Melzo, che definisce la RU486 "un pesticida per ammazzare i bambini". O come Luigi Frigerio primario a Bergamo, che ha fatto piazzare il Centro di aiuto alla vita nel bel mezzo del suo reparto. Una nostra collaboratrice ha provato a telefonare al centralino dell'Ospedale di Vicenza (Asl 6), dicendo di essere una ragazza di 21 anni e volere il reparto ginecologia per informarsi sull'interruzione volontaria di gravidanza. La voce della centralinista le ha risposto senza un attimo di esitazione: "Può senz'altro rivolgersi al Centro di aiuto alla vita". "Veramente ho chiesto di parlare con un medico del servizio pubblico, non con un movimento religioso". "Ma no, chiami quelle persone, le do anche il numero verde, si troverà contenta..".
Il dialogo è solo una delle tante testimonianze della corsa a ostacoli che specie in alcune regioni italiane aspetta le donne che vogliono abortire. In un ospedale di Palermo succede che alle donne in attesa dell'Ivg venga mostrata dal ginecologo l'ecografia del feto. "Ecco, questo è il cuore del bambino a cui lei vuole togliere la vita", si sentono dire. A Napoli la tecnica preferita, specie con le più sprovvedute, consiste nel respingerle, dicendo che sono fuori tempo massimo. "Arrivano da noi disperate. Quando le riaccompagnamo al reparto ammettono a denti stretti che si erano sbagliati e che l'intervento si può ancora fare", racconta Stefania Cantatore, una delle promotrici del Comitato per l'applicazione della 194 che da anni, a Napoli e dintorni, si batte perché la legge sia rispettata. Bisogna ammettere che nei suoi 27 anni di vita (è in vigore dal 1978) l'interruzione volontaria di gravidanza, pur avendo funzionato decentemente, non ha mai avuto pieno diritto di cittadinanza in molti dei nostri ospedali, considerata spesso, per usare le parole di una famosa canzone di Guccini, "una piccola storia ignobile", da tener separata da tutte le altre attività sanitarie. Ma da quando nell'ala più integrista del Polo è passata l'idea che, se al momento era impossibile cancellare legge sull'aborto, si poteva perlomeno rendere più difficile abortire, le vessazioni quotidiane non hanno avuto sosta.
Proprio nella Lombardia di Roberto Formigoni e di Comunione e liberazione, d'altra parte, le obiezioni aumentano di giorno in giorno specie fra i più giovani, trasformando i pochi che ancora restano al loro posto in figure emarginate e sospette. "Sono riuscito per miracolo a trattenere due colleghi sul punto di obiettare, perché non reggevano più a fare aborti dalla mattina alla sera", dice Maurizio Bini, ginecologo al Niguarda, uno dei grandi ospedali milanesi: dove fra l'altro le donne dell'Ivg vengono operate in sala parto, quasi una tacita punizione per la loro scelta.
Per far fronte alla fuga di massa, è nata la figura del ginecologo a contratto, che viene ingaggiato e pagato dagli ospedali solo per fare aborti. Uno di loro è Vincenzo Spinelli, che opera due volte alla settimana a Marino, sui Colli Albani, in un ospedale dove gli obiettori sono il 100 per cento: "Ti fanno sentire come uno che fa il lavoro sporco. Ma poi spesso arrivano colleghi a chiederti 'quel' favore, e tu devi accontentare anche loro".
La mancanza di tempo rende il rapporto con le donne sempre più veloce e anonimo. "Da una nostra ricerca risulta che solo il 30 per cento delle donne che ha abortito ha ricevuto informazioni sulla contraccezione", dice Michele Grandolfo, dell'Istituto superiore della sanità, l'uomo chiave di questo delicato settore. È il paradosso della contraccezione debole, in un paese come l'Italia dove si inneggia ogni giorno di più alla vita "ma dove non si distribuiscono profilattici e non si fa una sistematica informazione contraccettiva nelle scuole", denuncia Mauro Buscaglia, primario non obiettore al San Carlo di Milano. C'è anche un altro paradosso. Siamo fra i pochissimi al mondo dove l'Ivg viene fatta quasi sempre in anestesia totale, "inutilmente costosa e a volte anche dannosa per la salute delle donne", dice Michele Grandolfo. Come insegna anche la violenta opposizione alla RU 486, la pillola dell'aborto chimico, guai a cercar di rendere l'ivg meno traumatica e punitiva di quanto non sia di per sé. Guai a suggerire che in ogni caso è alle donne che spetta l'ultima parola.
hanno collaborato Monica Soldano e Fiamma Tinelli