DEAD MAN WALKING - CONDANNATO A MORTE

Regia: Tim Robbins.
Nazione: USA
Anno: 1996
Genere: Drammatico

In una cultura contraddittoria come quella americana, la nostalgia di un bene e di vera libertà. L'uomo, non appena la somma del male che ha compiuto Dead man walking (letteralmente: morto che cammina) è un film che ha due pregi: innanzitutto fa discutere proprio in quanto non è la rappresentazione di una teoria, ma di un fatto e, in secondo luogo, ha una forza artistica che riesce quasi sempre a evitare le cadute nella retorica, pur così facili visti i temi e le situazioni che tocca. Non riassumiamo la trama, contando sulla notorietà e sul passaparola. Vediamo il primo pregio. I1 film, quasi a dispetto delle apparenze e dei motivi del suo successo commerciale, non tratta come tema principale le idee sulla pena di morte, sulla fede o su quant'altro pur entra nella trama del film. Un'opera come questa non è fatta per chiarire, per accomodare le idee, semmai per scombinarle. Presenta una storia, un fatto, una verità umana. Infatti, suor Helen, generosa, sprovveduta, commossa per il valore infinito della persona, non riesce quasi mai a dare spiegazioni al suo impegno umano e pastorale, ma se ne sta li e alla fine, dinanzi all'"uomo morto che cammina" che le ha appena confessato la verità mostrandosi per la prima volta libero, non può non dire che Cristo è con lui, presente. La verità che rende liberi, infatti, prima ancora che la confessione della colpa è nell'accettazione da parte di Matt, il condannato, che c'è qualcuno che gli vuole bene perché lui, comunque, non è appena la somma del male che ha compiuto. Non un'idea, dunque, ma un fatto che viene riconosciuto infine anche dal padre del ragazzo massacrato da Matt, un uomo che si dichiara cattolico, ma la cui fede non lo preserva dal dolore cieco, dal sentimento di vendetta e dalla divisione dalla moglie. Ma l'aspetto più autentico del film è, forse, un passo più in là. Esso sta proprio nell'irrisoluzione drammatica con cui termina. Nel lungo commovente finale la sovrapposizione delle immagini dell'esecuzione-crocifissione di Matte del suo spietato, bestiale omicidio, consegna allo spettatore tutto il peso della grande questione della giustizia umana, dei suoi valori, della sua realizzazione. Un sentimento di umanissima imperfezione, di drammatica impossibilità di fuga nell'utopia domina al termine. Non siamo in Paradiso, la giustizia umana è imperfetta, suggerisce potentemente l'esperienza di imperfezione che è (o dovrebbe essere) alla base di ogni atteggiamento veramente ragionevole. L'immagine finale di suor Helen che prega insieme al padre del ragazzo ucciso suggerisce discretamente quale sia la fonte del lavoro che ella svolge e che non toglie il peso delle responsabilità ai protagonisti (e allo spettatore), ma che introduce - come presenza e segno accanto agli uomini nella loro tribolazione - una misura più grande dell'immaginabile, un indizio di bene più definitivo di ogni male rilevabile dal giudizio umano. Rispetto a tale intuizione drammatica e geniale, resta una ristrettezza ben ravvisabile nel modo con cui il regista presenta la figura del cappellano del carcere, i sacramenti o l'uso delle Scritture. Il secondo motivo di pregio del film è nel riuscire a non insabbiarsi nel melodrammatico, grazie ad una efficacissima colonna sonora e alla prestazione straordinaria dei due attori, e più che dell'Oscar Susan Sarandon, del Sean Penn vero nodo di forze. Sincero sembra inoltre il regista nel fotografare un'America di ragazzini davanti alla tivù, di ossessione per i soldi,di violenza latente e giustizialista, mentre su tutto domina, mai detta se non dal condannato, la nostalgia di una vera libertà, di un bene per sè, riconosciuto più grande dei delitti e delle pene. (DAVIDE RONDONI)