L'ATTIMO FUGGENTE

Regia: Peter Weir
Nazione: USA
Anno: 1989
Genere: Commedia

"Una volta alcuni comuni amici discussero con lui di un film che era sembrato loro grande e affascinante, pur nel suo risvolto tragico, proprio sul piano dell'affettività. Il film era 'L'attimo fuggente', e forse molti lo ricorderanno, è la storia della poetica e della struggente relazione tra un professore e i suoi allievi. Loro erano entusiasti di quel film e invece lui lo detestava. E sai perchè? Perchè diceva Giussani, l'insegante in quel film comunicava sì emozioni forti, ma non c'era niente che comunicasse dentro quelle emozioni, tanto è vero che non proponeva un'esperienza e non offriva delle ragioni. E' la ragione, infatti, che fonda la dignità dell'esperienza, e ne dà l'ossatura". (Luigi Amicone - Tempi 29/09/05 pag.25) Dal sito di Don Gabriele L'attimo fuggente (1989) di Peter Weir di Fiorella Barzaghi Introduzione Quando nel 1989 apparve nelle sale cinematografiche italiane, L'attimo fuggente di Peter Weir ottenne unanimi consensi sia di critica che di pubblico; il film riusciva infatti in quel momento nell'ardua impresa di dare corpo a un sogno collettivo, mettendo in moto dei processi di proiezione e identificazione con i personaggi, soprattutto con la figura di Keating, insegnante di indubbio fascino e originalità, capace di catalizzare le simpatie di giovani e adulti. Tenuto conto di tale impatto emotivo e psicologico, il rivedere il film a distanza di anni, può consentire di verificarne la tenuta, metterne alla prova la capacità di suggestione, e insieme dà anche l'opportunità di analizzare con maggior distacco le problematiche sottese, osservare luci e ombre, pregi e limiti di quella stessa proposta educativa. Possiamo così sintetizzare quelli che ci sono sembrati punti utili alla discussione comune: L'Accademia di Welton e la famiglia: le insufficienze di un mondo adulto incapace di ascoltare i bisogni giovanili Il prof. Keating: il fascino dell'anticonformismo La strada per essere creativi: risvegliare le energie positive della persona Rilievi critici: le ambiguità e i limiti della proposta di Keating Le insufficienze del mondo adulto L'ambiente di Welton è soffocante e inadeguato a una vera crescita umana dei ragazzi che frequentano la scuola: l'insegnamento che vi si pratica si regge sulla ripetizione meccanica di contenuti sempre uguali e sulla trasmissione di regole di vita che assomigliano a forme vuote, incapaci di misurarsi con la realtà e soprattutto lontane dalla vita, dalle aspirazioni, dagli interessi e dai bisogni dei ragazzi. Tra le mura di quelle aule sembra d'essere in un mondo asettico, esangue, un pallido riflesso di ciò che in una società sana dovrebbe essere la scuola. Anche le famiglie rivelano una tendenziale incapacità o indifferenza educativa: i genitori che vi compaiono sembrano pensare e trattare i figli come un possesso esclusivo, un bene da investire e far fruttare per ottenerne lustro e soddisfazione personale. La stessa scelta della scuola è funzionale a questo progetto in quanto rappresenta il trampolino di lancio necessario ad assicurare ai loro figli un futuro professionale debitamente programmato e una posizione sociale ambita, indipendentemente dalle loro aspirazioni. Il fascino di Keating Di fronte a questo mondo paludato, pago delle regole esteriori e incapace di interrogarsi su tali forme, di adeguarle e motivare il sapere, non può non risultare quanto mai simpatica, rivoluzionaria ed affascinante la figura del prof. Keating. Umanamente e intellettualmente egli possiede tutte quelle caratteristiche che non possono non renderlo gradevole e amabile, un leader e un idolo agli occhi dei ragazzi, a cominciare dagli aspetti esteriori per giungere a quelli più profondi: è informale nel vestire, sufficientemente irriverente nel parlare, anticonformista quanto basta per invitare i suoi allievi a strappare le pagine di un sacro testo scolastico; è un istrione nel senso positivo del termine: sa cioè tenere desta l'attesa, suscitare sorpresa; la sua lezione non è mai scontata in quanto egli sa utilizzare, inventare strumenti, strategie e occasioni anche a partire dalla situazioni più banali: ad esempio il modo di camminare di ciascuno, il tiro al pallone, la recita di un brano di Shakespeare… Keating spezza il ruolo insegnante-alunno, così come è stato codificato dall'etichetta di Welton, e si mette in gioco come persona e fa altrettanto con i ragazzi: si rivolge loro non come a semplici alunni, bensì come persone che hanno dei bisogni, dei sogni, gusti, pensieri propri, li chiama in causa direttamente e personalmente nel corso delle lezioni, facendoli sentire soggetti attivi e non semplici uditori, spettatori passivi. La sua presenza è una provocazione a interrogarsi sul valore di ciò che studiano, sulla vita, sui loro desideri e la poesia e la letteratura cui essi hanno guardato come un semplice contenuto da studiare, non diverso dalla matematica o da chimica, cominciando a rivelare una diversa natura: scoprono con stupore che i poeti non sono vecchi barbogi che scrivono parole difficili e inutili ma uomini in carne e ossa, che hanno cose interessanti da dire, cose che c'entrano con la vita di ogni giorno. Il messaggio lineare e semplice che arriva allo spettatore è questo: un uomo vivo contagia chi gli sta intorno, il cambiamento è possibile e comincia laddove ci sono adulti che tornano ad essere persone ricche di umanità, appassionate ai ragazzi che sono loro affidati. La strada per essere creativi: portare alla luce l'energia inespressa dentro di noi La proposta educativa che Weir comunica attraverso l'affascinante figura di Keating è una sorta di ritorno alla "naturalità" dell'uomo, nel senso di aiutarlo a ritrovare in sé e liberare quelle forze primigenie, incorrotte che si porta dentro, e di cui spesso è inconsapevole. La poesia è per eccellenza l'espressione suprema di questa energia umana: poesia intesa nel pieno significato etimologico di "fare", atto creativo, gesto con cui l'uomo può nominare la realtà, darle forma e vita. Far ascoltare poesie agli alunni serve a ridestare nella loro interiorità echi, risonanze, desideri di qualcosa di bello ma dimenticato, così come spingerli a poetare non è un puro esercizio di retorica, ma condurli alla scoperta delle dimensioni più profonde dell'essere, di quella ricchezza che giace sepolta e intorpidita in loro. La poesia, l'arte, il sogno, la fantasia, sono le risorse più vere che attendono chi le risvegli e dia loro voce; seguendole e assecondandole la vita acquisterebbe uno spessore più profondo, gusto, bellezza, e la persona ritroverebbe le vere sorgenti dell'io. La trasformazione dei ragazzi dopo l'incontro con Keating vorrebbe essere una conferma di questa verità. Problematiche sollevate dal film Precisiamo che il coinvolgimento affettivo di Keating ci è parso l'aspetto più convincente nel rapporto tra lui e i suoi allievi, così come colpisce positivamente la sua capacità di ricercare strategie didattiche insolite e originali, tuttavia esistono nel suo stile educativo aspetti che vanno vagliati criticamente, anche perché possono considerarsi ambigui o contraddittori tra loro con il risultato di inficiare, vanificare le potenzialità educative del suo stesso metodo. Accenniamo almeno a quelli più significativi. Creativi per cosa? (un superficiale nichilismo) L'orizzonte che Keating offre ai ragazzi è l'assurdità, il non-senso (l'uomo non è che "cibo per i vermi", il suo destino è di "diventare freddo come il marmo" ed essere "concime per i fiori"). Quanto egli dice sbrigativamente non è certo una questione marginale, irrilevante per qualsiasi persona: da sempre letterati e filosofi, e anche uomini comuni seriamente impegnati con la vita, si sono interrogati sul significato del vivere; si tratta della questione suprema, che decide del nostro modo di stare e rapportarci al mondo e agli altri. Il minimo che si possa dire è che in questo caso Keating denota superficialità e contraddittorietà rispetto alla tanto declamata necessità di guardare le cose in profondità e da angolazioni diverse. Ma l'aspetto più grave e gravido di conseguenze sul piano educativo è che, mentre da un lato Keating sprona i suoi ragazzi a vivere fino in fondo l'esistenza, ad abbracciarla, dall'altro li priva di quell'unico e profondo motivo che può giustificare, rendere sensato tale attaccamento: l'affermazione, almeno in via ipotetica, della sua positività e ragionevolezza, sola propettiva che può logicamente giustificare la ricerca e l'affermazione di un significato di ciò che si fa. Una concezione illusoria (un uomo naturalmente buono?) Ogni vera educazione parte da un'ipotesi positiva sull'uomo, presuppone in lui la presenza di potenzialità, ricchezze intellettuali e morali da sviluppare, ma questa ipotesi necessaria non è negata dalla contemporanea constazione della presenza in lui di limiti e contraddizioni profonde. L'osservazione leale di ciò che siamo non può nascondere che c'è nell'essere umano una ferita, quella che cristianamente viene detta peccato originale, ma che ogni uomo capace di realismo non può non ritrovare in sé. Trascurare questo aspetto può aprire il varco a una concezione onnipotente, ipertrofica ed egoistica dell'io e delle sue possibilità. Il cuore e il sogno come guida Keating affida poteri salvifici al cuore e ai sogni. All'interno della sua concezione antropologica, parole come "cuore" o "sogni", aspetti pur importanti dell'uomo, si rivestono di un'estrema ambiguità, sono stravolti, staccati dalla loro origine e dal loro fine, significano altro e pretendono un potere che non è loro connaturato. La parola "cuore", che per Weir vorrebbe indicare le forti e nobili passioni, se non interviene un criterio di verità, rischia in realtà di degradare sentimento passeggero, emozione momentanea, pulsione egoistica,. Il termine cuore in senso biblico ha tutt'altro significato: «La natura dell'uomo, quella natura che la Bibbia chiama cuore, è esigenza di verità, di giustizia, di amore, di felicità (verità, amore ecc. sono parole senza limite, se si pone un limite le si tradisce). E la ragione è il luogo dove tutto emerge alla nostra vista, incomincia a entrare coscientemente nella nostra esperienza. Noi definiamo la ragione come coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. Significa che, se manca un fattore solo, su un miliardo, non è più vero quello che si pensa, quello che si definisce circa un pezzo di realtà» (Giussani, Realtà e giovinezza. La sfida, p. 25) Per gli stessi motivi il sogno, ben diverso dall'ideale, diviene sinonimo di illusione e pretesa sulla realtà: «Ideale e utopia non sono la stessa cosa. L'utopia è una parola che rappresenta negli intellettuali quello che nei ragazzi è il sogno. L'utopia ha lo svantaggio di essere piena di presunzione (…). Ma sogno e utopia nascono dalla testa, dalla fantasia. Invece l'ideale è il centro della realtà. L'ideale è quella soddisfazione verso cui ti lancia il cuore, qualcosa di infinito che si realizza in ogni istante»(Ibidem, p. 17) Il rifiuto delle istituzioni: strada alla libertà? Nel film scuola e famiglia sono intenzionalmente rappresentate in modo così negativo e caricaturale da suscitare antipatia e da giustificare qualsiasi ribellione nei loro confronti, ma il sospetto più che legittimo è che Weir non abbia inteso tanto metterne in luce le contraddizioni o i tradimenti rispetto alla loro funzione naturale, quanto invece di identificarle tout court con sovrastrutture negative, di potere, destinate per la loro stessa essenza a ingabbiare l'io, a frustrarlo, reprimerlo, stravolgendo così la sua vera identità. L'autonomia e l'indipendenza dei ragazzi sono certo importanti mete educative da perseguire (l'ideale che abbiamo non è certo quella del gregario passivo, incapace di pensare e agire responsabilmente), ma proprio perché questo accada è necessaria una compagnia adulta, autorevole e non autoritaria, che solleciti la responsabilità del ragazzo, lo spinga a confrontarsi con una proposta precisa. I probabili esiti di questa educazione Fatto salvo quanto ci può essere di positivo nella pedagogia di Keating , i limiti che abbiamo sinora considerato ci fanno ritenere che tra gli esiti più prevedibili di una simile antropologia siano da metter in conto un vitalismo irrazionale, la pretesa nei confronti della realtà e la conseguente fragilità psicologica di fronte alla delusione e al male. Quando ciò che conta è vivere emozioni, sentimenti, non la verità di ciò che si vive, la vita diventa una continua rincorsa a consumare emozioni sempre più forti. L'eccitazione, la reattività, la vibrazione psicologica assumono il ruolo di ideali, così come vediamo ai nostri giorni nella cultura dello "sballo" a tutti i costi. Strettamente collegato a questo è la perdita della percezione del tempo Nel motto carpe diem si assolutizza il presente: l'importante è riuscire a soddisfare il desiderio adesso, subito. È ambiguo, ingenuo e pedagogicamente dannoso far coincidere il gusto del vivere con la soddisfazione immediata dei propri desideri. Questo significa allevare ragazzi che non sanno tollerare la fatica, incapaci psicologicamente di sostenere le disillusioni, di affrontare la durezza di un cammino che porti ad una meta: manca il principio di realtà che ci fa capire che essa è quella che è, e che, se è vero che non bisogna rassegnarsi allo status quo, occorre tempo e fatica per trasformarla. («… dal momento in cui è diventato usuale affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza, una tale follia ha coinciso coll'uccidere la parola destino con cui la parola Dio si identifica. E soltanto se c'è un destino l'istante ha corposità, è valore, e "funzione" di qualcosa. In caso contrario, come dice Oriana Fallaci, "…la vita diviene una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e che avrebbe potuto essere(...) Ed è così che si spreca il presente rendendolo un'altra occasione perduta di cui poi rammaricarsi"») (Giussani, La coscienza religiosa dell'uomo moderno, p. 43) Dal sito di Don Gabriele Riflessioni sul film "L'attimo fuggente" Don Gabriele ha raccolto queste riflessioni di alcuni alunni a proposito del film "L'attimo fuggente", di cui ha riportato in queste pagine una acuta recensione. Le lascia così come sono, nella loro freschezza e diversità, ma anche per una certa acutezza di giudizio, che ci interroga e ci fa pensare. "SUCCHIA LA VITA FINO AL MIDOLLO": questa è la frase che più mi ha colpito de "L'ATTIMO FUGGENTE". Sì, perché la vita, la sola che si ha, vale la pena di essere vissuta, assaporandone sino all'ultimo goccio la gioia e l'amarezza, conoscendone la magia e capendone l'importanza. A mio parere, ciò non è tuttavia emerso con evidenza in questo film. Il professore Keating trasmette ai ragazzi valori importanti (la passione per la poesia, ad esempio), osanna il motto "carpe diem" e raccomanda loro di essere sempre protagonisti della propria vita di rifiutare il conformismo e di non farsi omogeneizzare dalla società come amebe, ma di reagire poiché i pensieri e le parole, prima o poi, cambiano il mondo. Nonostante questo egli non riesce ad insegnargli a non arrendersi dinanzi alle difficoltà, a lottare con tenacia e caparbietà; tanto che la conclusione a cui alcuni suoi studenti giungono, è che non ha senso vivere se non si trovano o non si possono realizzare i propri sogni. Togliersi la vita significa forse essere attivi? Dimostra per caso che si ha una forte personalità distinta dalla massa? No, io non credo. Penso al contrario che il suicidio dimostri la debolezza dello spirito umano, che vede la morte come la via d'uscita migliore, quella più comoda, che risolverebbe improvvisamente ed indiscutibilmente tutti i problemi, ma che in realtà ci porterebbe via quell'inestimabile dono che Dio ci ha dato. Una stanza buia e angusta: così probabilmente vedeva la vita Nil. Capita talvolta anche a noi di sentirci in tal modo, quando i nostri sogni vengono soffocati, ci sentiamo persi in un mondo che stentiamo a riconoscere come tale, sommerso da violenza e ingiustizia; desideriamo estraniarci e fuggire dalla dura realtà, celandoci magari dietro qualche flebile illusione. Ma dobbiamo imparare e trovare la finestra di quella stretta stanza che ci immetta in una nuova, travolgente dimensione. E così la nostra vita sarà luminosa e straordinaria, potremo correre liberi e sereni per un immenso prato, soffermandoci ad osservare un fiore che sboccia in tutto il suo splendore e provando emozioni indescrivibili e nuove; ci sentiremo rinati e il nostro cuore traboccherà di speranza ed entusiasmo. Se il professor Keating, oltre a dire loro che "LA ROSA VA COLTA QUANDO È IL MOMENTO, E IL TEMPO VOLA VIA E NESSUNO TE LO RIPORTERÀ INDIETRO", avesse comunicato con più ottimismo e vitalità, le cose sarebbero andate diversamente... A me questo film ha turbato parecchio, nonostante mi sia piaciuto, proprio perché la morte viene, a mia interpretazione, raffigurata come una, seppur triste e amara, soluzione perfetta. Ciò di cui invece io sono fermamente convinta è che i momenti brutti si possono superare, e comunque la vita, che è solo nostra, è per questo così bella e coinvolgente. Concludo citando un pensiero, che porto sempre con me e che mi permette di "pensare positivo": "QUELLO IN CUI CREDI ESISTE, NON LASCIARLO MORIRE MAI, NON SACRIFICARE I TUOI SOGNI E NON ARRENDERTI, MAI. SO PER CERTO CHE UN GIORNO VOLERAI DOVE I TUOI PENSIERI ORA SI POSANO". Dacia Credo che il film "L'attimo fuggente'' possa offrire diversi spunti di riflessione. Il più evidente è legato alla frase che il protagonista ripete sovente ai ragazzi: Carpe diem, cogli l'attimo. È un invito a non lasciarsi sfuggire le occasioni, che potrebbero non ripresentarsi, a impegnarsi per trarre insegnamenti dalle esperienze vissute. Un altro attimo di riflessione lo propone l'atteggiamento dell'insegnante, che rompendo gli schemi della tradizione scolastica, instaura un rapporto diretto con gli alunni rendendoli più partecipi alla scelta del metodo di studio. A mio avviso però la loro non è veramente una scelta, perché è comunque ciò che vuole l'insegnante, che infatti viene chiamato Capitano, mio capitano, quasi a sottolineare il compito di guida che egli riveste. Il tema più drammatico che il film affronta è quello del rapporto tra genitori e figli: spesso tra le due generazioni vi è incomprensione, mancanza di dialogo e purtroppo alcuni genitori si sentono padroni della vita dei propri figli. Così, a volte, succede che per paura di non essere all'altezza delle aspettative in loro riposte, per timore di un futuro non scelto, ma imposto, alcuni ragazzi smettano di lottare e preferiscano andarsene. Federica