L’ULTIMA LEZIONE

La vita spiegata da un uomo che muore
di Randy Pausch con Jeffrey Zaslow - Rizzoli 2008
Video con sottotitoli italiani

Randy Pausch, nome completo Randolph Frederick Pausch (Baltimore, 23 ottobre 1960 – Chesapeake, 25 luglio 2008), è stato un informatico statunitense.
Era professore di informatica, interazione umano-computer e design presso la Carnegie Mellon University (CMU) di Pittsburgh, Pennsylvania.
Nel settembre 2006, gli è stato diagnosticato un cancro del pancreas metastatizzato. Sottoposto ad intervento chirurgico palliativo e chemioterapia, è rimasto attivo e vigoroso fino alla fine del 2007. È morto all'alba del 25 luglio 2008. (da wikipedia)


Un leone ferito può ancora ruggire. (cap.1)

«Che cosa mi rende unico?» (cap.1)

Non c’è proprio niente da fare. Possiamo solo decidere come reagire. Non possiamo cambiare le carte in tavola, ma soltanto giocare al meglio la mano. (cap.2)

Quando mi lamentai con mia madre perché il test era difficile e terribile, lei si piegò su di me, mi diede un paio di buffetti sul braccio e mi consolò così: «Sappiamo come ti senti, tesoro. E ricorda, alla tua età tuo padre stava combattendo contro i tedeschi». (cap.4)

A margine, c’è una lezione fondamentale: abbiate sempre qualcosa da offrire, perché questo vi darà maggiori possibilità di successo. (cap.6)

... penso spesso di avere imparato più dal perseguire questo sogno e dall’incapacità di realizzarlo che da tutti quelli che invece ho realizzato. (cap.7)

... dovete comprendere i fondamentali altrimenti anche gli ingranaggi più sofisticati non funzioneranno. (cap.7)

... «Quando sbagli e nessuno ti dice più niente, significa che si sono arresi.»
... Autostima? Sapeva che c’era una sola maniera per insegnare ai bambini come svilupparla: dar loro qualcosa che non sanno fare, costringerli a lavorare sodo finché non riescono. Poi si comincia daccapo con qualcos’altro e il processo ricomincia. (cap.7)

... Quando spingiamo i nostri figli a fare attività sportiva - football, calcio, nuoto, o altro - di solito non è certo perché vogliamo che apprendano il gioco o le regole di uno sport. Quello che davvero desideriamo è che imparino il lavoro di squadra, la perseveranza, la sportività, il valore dell’impegno, la capacità di gestire le avversità. Questo tipo di apprendimento indiretto è quello che alcuni di noi chiamano «finta di gambe». (cap.7)

Quindi qual è l’abilità di Kirk? Come può salire a bordo dell’Enterprise e comandarla?
La risposta è una: c’è un’abilità chiamata «leadership».
Ho imparato davvero tanto osservandolo in azione. È l’essenza distillata del manager dinamico, uno che sa delegare, sa ispirare gli altri grazie alla sua passione, e sta bene nell’uniforme da lavoro. Non ha mai professato di avere capacità superiori a quelle dei suoi subordinati. Sa riconoscere il valore di ciascuno nelle proprie mansioni. Ma è lui a stabilire il punto di vista, il tono. È a capo dello spirito collettivo. In più, ha tali qualità da seduttore che può corteggiare le donne di qualsiasi galassia che visita.
... Shatner era l’ultimo esempio di uomo che sapeva di non sapere, era perfettamente disponibile ad ammetterlo, e non se ne sarebbe andato finché non avesse capito. Per me è eroismo. Vorrei che ogni studente avesse questo atteggiamento.
... «non credeva a una simulazione senza possibilità di vittoria». (cap.9)

... Fu una sconfitta... i muri esistono per una ragione. Non certo per allontanarci, ma per darci la possibilità di dimostrare quanto davvero desideriamo qualcosa.
... «Non ho informazioni sufficienti per risponderle. Ma vedo che uno dei miei membri di facoltà più importanti è seduto ora nel mio ufficio ed è fuori di sé dalla gioia. Quindi mi dica di più». (cap.11)

Ho notato il dottor Wolff usare la semantica per descrivere ogni cosa in una luce positiva. (cap.12)

Robbee ha scritto: «Non potrai mai capire quanto quella visione di te abbia cambiato la mia giornata, ricordandomi cosa vuol dire essere vivi». (cap.13)

Tendo a dire quello che penso e quello in cui credo. Non tollero molto l’incompetenza. (cap.14)

Il mio buon amico Scott, che ho conosciuto da matricola, ora mi ricorda come uno «totalmente privo di tatto, e universalmente acclamato come il più veloce a offendere qualunque persona mi venisse presentata».
«Randy, è davvero un peccato che la gente ti percepisca come un arrogante, perché questo ti limiterà sempre in quello che farai nella vita». (cap.14)

E mi sento abbastanza fortunato di avere tratto beneficio nella vita da persone come Andy, che mi avevano a cuore tanto da dirmi senza ipocrisie le cose che avevo bisogno di sentirmi dire. (cap.14)

«I muri non servono per fermare chi desidera davvero qualcosa. Esistono per fermare gli altri.» (cap.16)

«Signore, penso di avere individuato una variabile». (cap.17)

Abbiamo compreso che c’erano cose che potevamo fare per ottenere un risultato positivo... e le abbiamo fatte. Senza dirlo a parole, il nostro atteggiamento è stato: «Siamo in ballo e balliamo». (cap.19)

«Vivete ogni attimo (cap.21)

Per tutta la vita ho avuto coscienza che il tempo non è infinito. (cap.23)

Il tempo deve essere amministrato come le finanze... Sollecitavo gli studenti a impiegare il tempo con oculatezza, dicendo loro: «Non importa se pulite bene la parte inferiore della ringhiera».
Potete sempre cambiare le vostre priorità, a patto che ne abbiate. Sono un fervente sostenitore della lista delle cose da fare. Ci aiuta a scandire la vita con piccoli passi da compiere.
Vi chiedete se state impiegando il vostro tempo per gli obiettivi giusti? È possibile che abbiate motivazioni, obiettivi, interessi. Vale la pensa perseguirli?
Sviluppare un buon sistema di archiviazione.
Riconsiderare il telefono. Viviamo in una civiltà in cui passiamo gran parte del tempo in attesa al servizio clienti, e ci sentiamo pure dire: «La sua telefonata è molto importante per noi». Sì, certo. È come un ragazzo che schiaffeggia la ragazza al primo appuntamento e dice: «Ti amo davvero». Tuttavia è così che funzionano i call-center. Lo detesto. Per me è fondamentale non stare mai in attesa con la cornetta attaccata all’orecchio. Uso sempre il vivavoce, così nel frattempo posso fare altro.
Ho anche escogitato varie tecniche per abbreviare le telefonate inutili. Se parlo al telefono stando seduto, non mi alzo più. Invece, è meglio stare in piedi quando si telefona. Si è portati a sveltire la conversazione. Un’altra tecnica è avere sottocchio sulla scrivania qualcosa da sbrigare così da essere spronati a tagliar corto.
Negli anni, ho perfezionato le tecniche di abbandono. Volete disfarvi velocemente delle proposte commerciali telefoniche? Mettete giù mentre state parlando voi e loro vi stanno ascoltando. Penseranno che c’è stato un problema di linea e passeranno al cliente successivo. Volete comunicare qualcosa di breve a qualcuno? Chiamateli poco prima di pranzo. Saranno sbrigativi. Potete essere pure le persone più interessanti dell’universo, ma mai più del pranzo.
Delegare. Non è mai troppo presto per delegare.
Prendersi una pausa. Non siete mica in vacanza se vi mettete a leggere l’email e a controllare i messaggi.

Il tempo è tutto quello che avete. E potreste scoprire un giorno di averne meno di quanto pensavate. (cap.23)

È opinione comune e accettata che il primo obiettivo di un insegnante sia insegnare agli studenti il metodo di studio.
Ho sempre accettato questa idea, davvero. Ma nella mia testa, l’obiettivo principale è sempre stato un altro, a mio avviso, migliore: voglio educarli sulla necessità di saper giudicare se stessi.
Hanno coscienza delle loro potenzialità? Sanno riconoscere i loro punti deboli? Sono realistici riguardo alla percezione che gli altri hanno di loro?
Alla fin fine, gli insegnanti sono più utili quando aiutano gli studenti a diventare più autoriflessivi. L’unico strumento che ognuno di noi ha per migliorarsi è sviluppare la capacità di sapersi valutare obiettivamente. Se non lo sappiamo fare con attenzione, come possiamo capire se stiamo migliorando o peggiorando? (cap.24)
Noi professori giochiamo il ruolo degli allenatori, fornendo alla gente un modo per utilizzare strutture (libri, laboratori, la nostra esperienza), poi è nostro compito essere esigenti. Dobbiamo verificare che i nostri studenti si stiano applicando. Dobbiamo elogiarli quando meritano e rimproverarli con onestà quando le cose non vanno bene.
È ancora più importante, poi, dar loro gli strumenti per giudicarsi da soli. La cosa migliore della palestra è che ti alleni, ti impegni fisicamente e ottieni risultati visibili. La stessa cosa dovrebbe valere per l’università. Compito di un docente è insegnare agli studenti come riconoscere i progressi intellettuali allo stesso modo in cui si accorgono dello sviluppo dei loro muscoli guardandosi allo specchio.
Fare in modo che la gente impari ad autovalutarsi è stato l’obiettivo più duro che mi sia mai posto. (Non è stato facile neppure nella vita personale.)
Mi rattrista constatare che tanti genitori e insegnanti abbiano lasciato perdere. Quando si parla di costruire l’autostima, spesso hanno in testa una forma di narcisismo piuttosto che l’onestà intellettuale che forgia il carattere. Ho sentito tanta gente parlare di una spirale negativa del nostro sistema d’istruzione, e penso che un fattore chiave sia che c’è troppo narcisismo e poca autoanalisi. (cap.24)

«Lascia che gli altri finiscano di parlare». (cap.24)

«...Dicono che non sai ascoltare. È difficile andare d’accordo con te. Non va bene così.» (cap.24)

Ero come sempre me stesso - un docente duro con forti esigenze e metodi bizzarri - ed era troppo presto per apprezzarmi. In questo senso assomiglio a quei sapori decisi che si imparano ad amare con il tempo, e dopo un solo semestre alcuni erano in crisi. (cap.25)

E tuttavia, quando chiesi loro di guardare oltre il banale, la maggior parte si dimostrò all’altezza della sfida. Infatti, il primo anno mi limitai ad avviare il corso e gli studenti presentarono i primi progetti lasciandomi di stucco. (cap.26)

“Ragazzi avete fatto un ottimo lavoro ma so che potete fare di meglio”». (cap.26)

Il mix di libertà e gioco di squadra ha reso assolutamente elettrizzante la nostra esperienza lavorativa. Le aziende hanno subito saputo che cosa stavamo facendo, e hanno cominciato a offrirci accordi triennali per una prelazione sui nostri studenti, il che significava che promettevano di assumere gente che non avevamo ancora ammesso al corso. (cap.26)

È quando insegnate a qualcuno qualcosa lasciandogli credere che sta imparando qualcos’altro. Così gli studenti pensano di adoperare Alice per fare dei film o creare videogiochi. La finta di gambe consiste nel fatto che in realtà stanno imparando a programmare. (cap.27)

Utilizzare i soldi per combattere la povertà è di certo un’opera meritevolissima, ma troppo spesso si opera ai margini. Quando si mandano gli uomini sulla Luna, siamo tutti spronati a raggiungere il massimo delle nostre potenzialità, che è il modo migliore per provare a risolvere il grosso dei nostri problemi.
Concedetevi l’occasione di sognare. Alimentate anche i sogni dei vostri figli. Anche se questo dovesse significare lasciarli in piedi ben oltre l’ora di andare a letto. (cap.28)

Preferisco di gran lunga le persone serie alle persone alla moda, perché la moda ha vita breve. La serietà ha vita lunga. (cap.29)

I miei genitori mi hanno insegnato: si comprano vestiti nuovi quando quelli vecchi sono lisi. Chiunque abbia osservato che cosa indossavo durante la mia ultima lezione, avrà notato che vivo seguendo questa massima! (cap.29)

Troppe persone passano la vita intera a lamentarsi dei loro problemi. Ho sempre creduto che se sottraessimo alle lamentele un decimo delle energie che vi investiamo e la applicassimo alla risoluzione del problema, resteremmo sorpresi di vedere quanto cominciano a girare bene le cose.
Il mio uomo-non-lamentoso preferito di sempre è Jackie Robinson, il primo afroamericano a giocare nella Major League di baseball. Riuscì a resistere all’odio razziale dell’epoca, che molti giovani di oggi non possono nemmeno immaginarsi. Sapeva di dover giocare meglio dei bianchi, e sapeva di dover lavorare sodo più degli altri. E lo fece. Aveva giurato di non lamentarsi, anche se i tifosi gli sputavano addosso.(cap.32)

Ho capito che molte persone passano buona parte del tempo a difendersi da quello che gli altri pensano di loro. Se nessuno si preoccupasse di quello che gli altri hanno in testa, nella nostra vita e nel nostro lavoro saremmo tutti più efficienti del 33 per cento. (cap.34)

Quando devo lavorare insieme ad altri cerco di immaginarmi seduto con loro, con un mazzo di carte. Il mio impulso è sempre di scoprire tutte le carte sul tavolo, e dire al gruppo: «Okay, decidiamo assieme cosa farne di questa mano?». (cap.35)

Negli anni migliorare il gioco di squadra è diventata una mia piccola ossessione. Il primo giorno di ogni semestre, dividevo la classe in una decina di gruppi da quattro. Poi il secondo giorno di lezione, consegnavo una dispensa scritta da me intitolata: Come lavorare con successo in gruppo. La si analizzava parola per parola. Alcuni studenti ritenevano i miei consigli assolutamente scontati. Alzavano gli occhi al cielo. Pensavano di sapere come si gioca in squadra: lo avevano imparato all’asilo. Non avevano bisogno dei miei consigli elementari. (cap.35)

Presentatevi nel modo giusto: tutto comincia presentandosi bene. Scambiatevi le informazioni necessarie. Imparate i nomi degli altri.
Trovate gli elementi in comune: quasi sempre troverete elementi in comune con un altro, e da lì diventa più facile discutere le questioni laddove ci sono idee diverse. Lo sport non conosce limiti di razza e ricchezza.
Create le condizioni giuste per un incontro: assicuratevi che nessuno abbia fame, freddo o sia stanco. Trovatevi per un pranzo o una cena se potete; il cibo addolcisce gli incontri. Ecco perché «ci si vede per colazione» a Hollywood.
Fate parlare tutti: non interrompete gli altri. E parlare più veloce o ad alta voce non rende la vostra idea migliore.
... quando argomentate le idee, definitele e scrivetele. La definizione dovrebbe descrivere l’idea, non il creatore: «La storia del ponte» non «La storia di Jane».
Elogiatevi a vicenda: trovate qualcosa di carino da dire, anche se un po’ forzato. Le idee peggiori possono sempre nascondere la soluzione al problema, se osservate bene.
Proponete le alternative con una domanda: anziché: «Penso che dovremmo fare A, non B», provate a dire: «E se facessimo A, invece che B?», questo permette agli altri di dare un’opinione piuttosto che difendere la scelta di qualcuno. (cap.35)

«Se hai abbastanza pazienza» ha affermato, «la gente ti sorprenderà e ti lascerà basito.»
Per come la vedeva lui: quando ti senti frustrato dalla gente, quando questa ti fa innervosire, spesso il motivo è che non le hai dato il tempo necessario per sorprenderli.
Jon mi ha avvertito che a volte questo richiede grande pazienza - addirittura anni. «Ma alla fine» ha concluso, «le persone ti mostreranno il loro lato migliore. Quasi tutti ne hanno uno. Bisogna sapere aspettare. Verrà fuori.» (cap.36)

... Basta ignorare tutto quello che dicono e prestare attenzione a quello che fanno». (cap.38)

Balla con chi ti porta alla festa. Questo è quello che mi hanno insegnato i miei genitori, e funziona anche al di là del ballo di fine anno. È un segno di fedeltà e stima.
La fortuna è l’incontro fra la preparazione e l’occasione. Questo lo insegna Seneca. Vale la pena tenerlo ancora a mente dopo duemila anni.
Se pensi di potercela fare, hai ragione; se pensi di no, hai ragione lo stesso. Questa è la prima massima che somministro alle mie matricole.
A parte questo, signora Lincoln, com’era lo spettacolo? Lo dico agli studenti per invitarli a non concentrarsi su dettagli secondari, trascurando quelli principali. (cap.38)

Rocky è stato un’ispirazione perché mi ricordava che non è importante quanto picchi duro. Ma il fatto che per quanto ti picchino duro... continui ad andare avanti. (cap.38)

Ho sempre desiderato che i miei studenti fossero uno per tutti e tutti per uno, che sapessero uscire e realizzare, alimentare l’impeto, marciando sul campo, che evitassero turnover che costano caro vincendo le partite in trincea anche se ne risentiranno il lunedì. I miei studenti lo sanno: non si tratta solo di vincere o perdere, ma di come si gioca. (cap.38)

L’esperienza è quello che vi rimane quando non avete ottenuto ciò che speravate. (cap.39)

In nuove operazioni di start-up, spesso preferiscono assumere un direttore generale con un’ottima esperienza di start-up falliti alle spalle. Chi ha fallito, spesso sa come evitare fallimenti futuri. Chi conosce solo il successo può cadere nella più semplice delle trappole.
L’esperienza è quello che si ha quando non abbiamo ottenuto ciò che si voleva. E l’esperienza spesso è la cosa più preziosa che possiamo offrire. (cap.39)

«Sei passato di ruolo subito» mi dicevano. «Qual è il tuo segreto?» Rispondevo: «Piuttosto semplice. Chiamatemi un qualsiasi venerdì sera in ufficio alle dieci esatte e ve lo dirò».
Molti cercano una scorciatoia. Ritengo che la migliore scorciatoia resti la strada più lunga, in pratica bisogna lavorare sodo. Per come la vedo, se si lavora tante ore in più del dovuto, si apprende tanto sul proprio mestiere. Questo può rendervi più efficienti, abili e persino più felici. Il duro lavoro è come l’interesse composto in banca. I premi si costruiscono più in fretta. (cap.43)

Mi è sempre piaciuto dire agli studenti: «Andate e fate per gli altri qualcosa che loro hanno fatto per voi». (cap.44)

Ho sempre avuto bisogno di farmi trovare preparato in qualsiasi situazione mi ritrovi. Quando esco di casa, cosa devo prendere? Quando ho una lezione, quali domande posso eludere? Quando preparo il futuro della mia famiglia senza di me, quali documenti devo sistemare? (cap.46)

Sì, sono un grande ottimista. Ma quando devo prendere una decisione, penso subito alla peggiore situazione possibile. Lo chiamo il «fattore lupo». Se faccio qualcosa, qual è la cosa peggiore che mi può capitare? Mi sbraneranno i lupi? (cap.46)

Spesso ho detto ai miei studenti: «Quando andate nella giungla, potete contare solo su ciò che vi siete portati dietro». E sostanzialmente, la giungla è qualsiasi posto che non sia casa vostra o l’ufficio. Quindi portatevi dei soldi. Prendete il vostro kit d’emergenza. Immaginatevi i lupi. Ricordatevi la lampadina. Non fatevi cogliere impreparati. (cap.47)

Se anche gli altri vi devono delle scuse, e le vostre son sincere e sentite, è possibile che nonostante tutto non li sentirete per un po’. Dopotutto, quante probabilità ci sono che anche loro siano emotivamente pronti a scusarsi nello stesso istante in cui lo siete voi? Quindi abbiate pazienza. Molte volte nella mia carriera ho visto studenti scusarsi e poi, alcuni giorni dopo, i compagni accettavano le scuse e si scusavano a loro volta. La vostra pazienza sarà apprezzata e premiata. (cap.47)

Se potessi dare un consiglio in tre parole direi: «Dite la verità». Se potessi aggiungere altre tre parole direi: «Tutte le volte». I miei genitori mi hanno insegnato che «vali quanto le tue parole», e non c’è modo migliore di spiegarlo. (cap.48)

In una cultura dove tutti dicessero la verità, si potrebbe risparmiare il tempo sprecato per verificare le affermazioni. (cap.48)

La gente mente per molte valide ragioni, principalmente perché crede serva a ottenere quello che vuole con il minimo sforzo. Ma come la maggior parte delle strategie a breve termine, si rivela inefficace nel lungo termine. (cap.48)

Invecchiando, però, ho imparato a capire che una buona scatola di pastelli ha più colori. Ma penso ancora che se si vive la vita nel modo giusto, il bianco e nero si consumeranno prima degli altri colori. (cap.50)

Il mio messaggio invece è questo: c’è più di un modo per calcolare profitti e perdite. A ogni livello, le istituzioni dovrebbero avere un cuore. (cap.50)

Il mio consiglio è sempre stato: «Dovreste sentirvi elettrizzati all’idea di ottenere un impiego alle poste. Una volta assunti, ecco cosa fate: smistate intelligentemente la corrispondenza».
Nessuno desidera sentir dire a qualcun altro: «Non sono bravo a smistare la corrispondenza perché questo lavoro è inadeguato alle mie capacità». Nessun mestiere è inadeguato. E se non riuscite a smistare la corrispondenza, come fate a dimostrare di saper fare altro? (cap.51)

Mio padre mi impartì la lezione di una vita. Asserì che il lavoro manuale non era inadeguato per nessuno. Disse che avrebbe preferito che mi impegnassi a fondo per diventare il miglior scavatore di canali al mondo piuttosto che diventare senza alcuno sforzo un dirigente che si pavoneggia dietro una scrivania. (cap.51)

Affiancavo gli imagineer che intervistavano i collaudatori, chiedendo come si fossero sentiti: avevano avuto le vertigini, erano disorientati, avevano la nausea? Alcuni dei nuovi colleghi si lamentavano perché applicavo al mondo reale criteri di ricerca accademica che secondo loro non avrebbero funzionato. Dicevano che mi concentravo troppo a studiare dati, che insistevo ad avere un approccio scientifico alle cose, anziché emotivo. Era il massimo dell’accademia (io) contro il massimo dell’entertainment (loro). Alla fine, però, dopo avere trovato il modo di risparmiare venti secondi a cliente caricando la cavalcata in maniera diversa, mi guadagnai credito presso quegli imagineer che avevano dei dubbi su di me.
Racconto questa storia perché voglio enfatizzare la necessità di mostrarsi ricettivi quando si passa da una cultura all’altra - nel caso dei miei studenti passando dall’università al lavoro. (cap.52)

Vedevano che lo volevo fortemente. La tenacia mi aveva permesso di superare l’ostacolo.(cap.53)

È interessante notare quali segreti si confessano alla fine dei propri giorni. Avrei dovuto raccontare questa storia molto tempo fa, perché la morale è: se desideri qualcosa davvero, non mollare mai (e accetta una spintarella quando te la offrono!).
Gli ostacoli esistono per una ragione. E quando si superano - anche se qualcuno ha dovuto praticamente spingervi - può tornare utile agli altri come esempio da tenere a mente. (cap.53)

Mio padre aveva messo in piedi una rete sociale. Lui lo sapeva: quando lavoriamo per gli altri, diventiamo persone migliori. (cap.54)

A volte basta semplicemente chiedere. (cap.55)

«Aggiungere forza lavoro a un progetto software in ritardo lo farà ritardare ulteriormente». (Nota come legge di Brooks.) (cap.55)

E non intendo passare il mio poco tempo ad aspettarli. Quindi domando sempre: «Come faccio ad avere le analisi il prima possibile?». (cap.55)
Fate quelle domande. Fatele e basta! Più spesso di quanto pensiate, la risposta che otterrete è: «Ma certo».(cap.55)

Non so come si fa a non divertirsi. Sto per morire e mi diverto. E ho intenzione di continuare a divertirmi per ogni singolo giorno che mi resta. Perché non c’è altro modo di vivere. (cap.56)

Alcuni di questi rapporti naturalmente li ho instaurati in chiesa. M.R. Kelsey, una signora della nostra comunità, è venuta a trovarmi in ospedale per undici giorni consecutivi dopo che mi avevano operato. Dal giorno della diagnosi il mio parroco mi è stato di grande aiuto. (cap.58)

Un altro tratto che distinguo in Dylan: è analitico, come il suo vecchio. Ha già capito che le domande sono più importanti delle risposte. Molti bambini chiedono: «Perché? Perché? Perché?». Una regola in casa nostra è che non si può fare una domanda di una sola parola. (cap.59)

«Ehi, c’è qualcosa laggiù! Andiamo a dare un’occhiata o a toccarla o a smontarla». (cap.59)

Per come la vedo, il ruolo di un genitore è alimentare nei figli la gioia di vivere e stimolarli a inseguire i loro sogni. Il meglio che possiamo fare è aiutarli a selezionare i propri individuali strumenti per realizzare i loro obiettivi.
Così, per i miei figli ho sogni molto precisi: voglio che trovino la propria strada e si realizzino. E dato che non ci sarò, voglio essere chiaro: bambini non cercate di capire cosa avrei voluto che faceste. Voglio che diventiate quello che volete voi. (cap.59)

… uno dei consigli migliori che abbiamo mai sentito è quello che ripetono sempre le hostess: «Indossate la maschera di ossigeno prima di aiutare gli altri». (cap.60)