ENZO PICCININI

GIORNATA D'INIZIO ANNO

Cesena - 22.10.95

Scusatemi se all'inizio io vorrei dire una cosa personale, perché mentre guardavo le vostre facce e scorrevano le relazioni per l'inizio anno, mi sono venute in mente due cose che per me sono assolutamente commoventi.
La prima cosa è che io molti di voi li conosco. Li conosco perché ho condiviso con loro i fatti dolorosi, personali, di malattie e di altre cose; perciò molti di voi li conosco con un'amicizia che è grande, che è partita dall'avvenimento che ci ha messo insieme, come è stato detto prima, ed è stato capace di condividere fino in fondo anche l'esperienza personale, non poetica certamente, del dolore.
Ed in questo io non posso ..... ho visto prima le facce di alcuni amici della dott.ssa Imelde di Faenza, che io ho curato per lungo tempo e a cui, qualche giorno prima che morisse, sono andato a dire che doveva morire. In stanza con lei, dopo avere salutato i suoi bambini, lei mi ha detto (e questo è un segreto fra me e lei) "Guarda, Enzo, io vado via tranquilla, sono gli altri che restano il problema. Dagli una mano". Così, come ho potuto, gliela ho data. Soprattutto però una mano bisogna dargliela insieme, perché cosa volete che possa fare io, o chiunque di noi. E' quell'insieme detto prima (e dopo dobbiamo scoprirne le ragioni) quell'insieme che abbiamo detto prima che decide della nostra vita, fino in fondo.
E poi qui c'è un altro aspetto che non mi fa essere un oratore distaccato, ma partecipe (è la prima volta che vi parlo così). Ed è la gratitudine per i ragazzi che mi mandate a Bologna. Molti vostri figli io li ho visti venire in università e crescere pian piano con me.
E' un'esperienza grandiosa, io non so se ve ne rendete conto. Non c'è una cosa più bella al mondo di vedere dei ragazzi crescere. Perciò vi ringrazio veramente e sul serio, anche perché così capisco, non amaramente ma lietamente, che Dio ama anche me, più di quello che meriti; e perciò posso azzardarmi a parlarvi; una cosa che ci mette insieme questa e perciò posso farlo.

Allora "Di che si tratta?", ha detto don Giancarlo. Proviamo a scoprirlo insieme. Proviamo a scoprirlo insieme attraverso la traccia che al centro del movimento con don Giussani ci siamo dati per questa giornata d'inizio.
E la prima cosa che andiamo innanzitutto a dirci è che la forza dell'esperienza, dei fatti che sono stati narrati, e anche della mia esperienza personale, così come prima l'ho accennata, la forza è innanzitutto dovuta al fatto che non abbiamo avuto tentennamenti, né credo li abbiamo tuttora, trovandoci qui, ad andare fino in fondo, a penetrare, fino in fondo, nella realtà per cui tutto esiste. E questa realtà è il mistero.
Guardate che nessuno di noi può togliersi dal realismo di sentire che c'è qualcosa di più grande di sé senza del quale la vita cosa sarebbe? Così come nessuno di noi può sottrarsi dal sentire che .... cosa sarebbero le cose che vediamo, che ci sono e non ci sono, se non ci fosse una permanenza misteriosa che le fa essere per sempre? Per sempre. Se non fosse così varrebbe davvero la pena di lavorare, rischiare, far famiglia?
Ecco, noi vogliamo entrare dentro, sempre di più e insegnarcelo vicendevolmente che c'è una permanenza misteriosa nelle cose, c'è qualcosa dentro le cose, attraverso le cose, con le cose che vediamo, che sentiamo, che amiamo, che fa permanere davvero.
E allora andando a casa, dopo aver mangiato insieme, è gia diverso lo sguardo fra noi, ma è diverso anche il modo con cui usiamo le cose. Non c'è più solo il cuore intasato di risposte parziali con cui ci accontentiamo del meno. Non c'è più questo.
C'è un cuore desideroso ..............(omissis)
.... che il peccato non dica l'ultima parola. E' il mistero questo, non siamo noi.
Abbiamo solo una faccia dentro di noi che ci permette di capire che, è vero, desideriamo essere felici. E il desiderio è la prima cosa che abbiamo dentro che ci lega all'altro, che ci lega ad Altro da noi.
Non possiamo più farne senza. Non possiamo più stare senza questo Altro misterioso che fa permanere misteriosamente tutto, e di cui abbiamo bisogno per rischiare ancora, costruire ancora, giovani e vecchi che siamo.

Il mondo ha solo un'arma nei nostri confronti, solo un'arma. Perché quando è così la posizione personale, solo un'arma è possibile: la distrazione. Ma la distrazione non è che noi la vogliamo levare via, perché saremmo davvero contro natura se pensassimo di poter levar via dalla nostra vita il peccato, e perciò la distrazione. Non è che vogliamo levar via la distrazione, vogliamo solo che non sia permanentemente vincitrice, e che sia sconfitta da qualcosa d'altro che mette alle porte il nostro perenne tentativo di superficializzare le cose, di misurarle così come le vediamo.

Ma d'altra parte quando abbiamo fatto Scuola di Comunità, chi non se la ricorda la bellezza di quel racconto che c'è nel secondo libro di Scuola di Comunità, quando dice come è successo l'avvenimento cristiano (sono le cose che racconto sempre ovunque ai ragazzi, e rimangono sempre a bocca aperta) quando si dice che c'è tutta la gente che cerca da sola di costruire un ponte tra il proprio effimero esistere e la stella lontana che è il Destino e il significato. E tutti si danno da fare. (Scusatemi, ma anche il tentativo di avere un lavoro come si deve, di avere una famiglia, di far dei passi come si deve nella Società, ma il tentativo di un ragazzo giovane che si deve costruire una vita in modo serio ed edificante, non è forse il tentativo, che abbiamo letto in quel libro, di costruire un ponte tra sé ed il Destino?. C'è il nostro tentativo umano di darci un gusto a stare al mondo. Non è forse questo? Ed è qui allora che l'avvenimento cristiano si è posto quando in quel racconto abbiamo scorto tutta la grandezza del fatto di Cristo).
"Siete bravi (un avvenimento ha detto don Giancarlo prima). Siete bravi. (E' capitato ad un certo punto l'incontro con qualcosa che ci ha abbracciati). Siete bravi, siete commoventemente bravi. Ci avete provato e ci provate tuttora. Non potreste far diverso se siete fedeli al vostro cuore, però non ce la fate da soli. Ed è per questo, per una pietà verso di voi che io sono venuto". Non vi ricordate il racconto?
Ecco: primo aspetto prima di entrare nel merito. Il primo aspetto è esattamente qui, in questo nostro tentativo di entrare sempre di più dentro alla consapevolezza che è il Mistero che fa tutte le cose, e che perciò è un legame con questo mistero che ci permette di vivere il particolare della nostra vita e che perciò in questo leggiamo tutto il tentativo di costruire quel che ha fatto nel bene e nel male, che muove fino ad oggi in questo momento. E' qui che è avvenuto l'avvenimento cristiano e l'incontro che ci ha permesso di ricapire daccapo tutto, in modo più definitivo, in modo più personale, in modo più costruttivo nel tempo.
Però c'è un'altra cosa che bisogna dirci. Ed è che se c'è il coraggio di parlare di queste cose, è certamente il fatto personale che uno sente che siamo insieme non per un bilancio. No, non è un bilancio che ci mette insieme e che ci dà il coraggio di dirci queste cose, ma è innanzitutto la consapevolezza dell'abbraccio che il mistero presente ha fatto di questo avvenimento, che oggi ritroviamo e ci diciamo che la Chiesa considera questa nostra esperienza Chiesa, corpo vivente di Cristo; considera questa nostra esperienza adeguata alla sua storia; contributo permanentemente vero, importante, decisivo e indicato come una modalità.

...... Eravamo tutti in piazza S. Pietro, c'eravamo molti di noi, c'ero anch'io. Non capivo molto allora (non che adesso capisca molto di più..). Doveva essere una giornata grandiosa per tutti i giovani ..... e c'eravamo solo noi, in pratica. E dopo, alla fine, il Papa ha chiamato don Giussani, anzi ci ha radunati tutti in sala Nervi (chi è che non se lo ricorda), tutti lì insieme. E dopo il Papa ha chiamato don Giussani. E lui si è commosso. Aveva una pisside e la voleva dare ad una guardia svizzera! E alla fine il Papa ha detto: "Questa è la strada giusta. Vada avanti così."
E don Giussani elenca sempre questo episodio. All'inizio, quando in diocesi a Milano c'erano i parroci che si lamentavano dal vescovo di Milano Cardinal Montini. Si lamentavano perché portava via i ragazzi dalle parrocchie, perché faceva un gruppo a parte, perché divideva ecc...
E lui che si difendeva e diceva: "Ma cosa vuoi che portiamo via! A parte il fatto che ce n'è sempre meno, ma cosa portiamo via!". Ma se un padre vede crescere dei figli in un posto diverso da quello che ha pensato lui, ma incoraggia la crescita, non ha il problema di tenerli a sé. Li fa crescere sottolineando il destino della vita.
E allora come gli ha detto alla fine il vescovo Montini: "Guardi, questa è la strada giusta. Vada avanti così." Sono le uniche parole che Giussani ha sentito da Montini, vescovo di Milano e Papa, sul movimento. "Questa è la strada giusta. Vada avanti così."
E questa strada è stata approvata definitivamente nella Chiesa. Non possiamo più avere dubbi!
I dubbi sono solo per uno scandalo e scandalo significa pietra d'inciampo per una valutazione che non tiene conto dell'oggettività in cui siamo messi. E una valutazione del "mi sento, mi va, non mi piace" ecc.. è scandalo. E' scandalo. E' un blocco che non c'entra.
Di fronte ad una cosa così, ad una storia come accennato prima, ed all'approvazione oggettiva, cioè al riconoscimento dell'abbraccio oggettivo di una storia così, non ci può essere un no per chi è coinvolto, fosse pure la prima volta. Non ci può essere un no. Il no è solo lo scandalo che lo fa. (..."Mi sembra che mi piace.. non mi piace"..).
E allora è così che noi vogliamo fare questa esperienza che è un certo modo di percepire la fede che ci fa essere un pò più facilmente consenzienti. Un certo modo di sentire l'esperienza cristiana perché Dio si è fatto uomo, perciò di esperienza si tratta, che ci rende attraente quello che sarebbe rimasto un dovere, e ci rende creativo un cuore che sarebbe stato indifferente. (La creatività: l'abbiamo sentita anche prima, le testimonianze che abbiamo avuto prima lo dicono.)

Allora: "Di che cosa si tratta?". Di che cosa si tratta se le due piccole premesse che ho fatto già delineano che è una strada le cui fondamenta non le teniamo noi con le nostre mani. Ed è questo che ci rende contenti e sicuri o abbandonati, come abbiamo cantato all'inizio. Non si può cantare ho abbandonato senza sentire davvero che lasciamo lì, lasciamo lì quello che finora abbiamo pensato debbano essere le convinzioni per camminare e abbracciamo l'unica convinzione che ci è stata data; ed è la strada per andare al mistero presente, che ci rende più creativo, più attraente questo mistero presente.
Allora, di che cosa si tratta? Si tratta di rispondere.
Dobbiamo rispondere ad una chiamata perché tutto quello che ho detto è stato ed è un avvenimento (Don Giancarlo l'ha detto e lo dico anch'io). Un avvenimento è qualcosa che è successo. Innegabilmente.. siete qui!
Siete qui! Tra trecento milioni di anni, (trecento milioni di anni!) che voi siate qui non può essere cancellato. Mai più. E' un fatto!
Perciò è un fatto. E' successo un avvenimento, dobbiamo rispondere. Siamo grandi.... non ci nascondiamo dietro le cose. Dobbiamo rispondere.

Che razza di stupore l'altro giorno quando raccontavo a don Giancarlo ....... io sono stato .... forse lo sapete molti di voi che seguo come posso l'esperienza di Tampa in Florida. E' nata un pò con me, ora la seguo sempre di più. Cerco di consegnarla alla maturità dell'esperienza americana che sta venendo su intorno a Vittadini che la cura centralmente. Cerco di consegnarla perché uno non può fare tutto, e soprattutto perché è giusto così.
Lì ho incontrato un pò di mesi fa un certo prof. Balducci di Rimini, lui è figlio del prof. Balducci di Rimini, insegnante di latino e greco famosissimo a Rimini. Questo prof. Balducci era uno che faceva la Fuci (una volta c'era anche don Giancarlo) e ha avuto amore e odio con don Giancarlo che è meglio non entrare in particolari, e in questa sua esperienza però, ha portato dentro sempre una provocazione (che poi ho scoperto dopo) e incontrandolo .......lui era un pò prevenuto (?) all'inizio. Lui dirige il Kansas Center del South ........ che è una cosa molto grossa, professore ordinario dell'Università, con cui io ero entrato in rapporti, peraltro senza sapere chi fosse. Ero venuto in rapporto per questioni professionali, e allora stando con lui è venuta fuori tutta questa storia. Poi siamo diventati amici, come succede in quelle cose lì, (perché poi gli americani sembrano un roba così ma alla fine sono dei poveri cristi, umanamente parlando, perché essendo abituati a far tutto da soli alla fine hanno delle fisime ....... per esempio due ore passate ad ascoltare Celentano dopo la cena! .....) e andando via non sapevo cosa fare. (Lui mi ha invitato a cena nel suo club, e lì, vi potete immaginare... cinque camerieri in un tavolo ecc..) e avevo lì il libro Si può vivere così? allora glielo ho dato e gli ho detto: "Questo libro è bellissimo" pensando "non lo leggerà mai, figurati!".
Poi l'ho invitato qui a distanza di un anno, un mese fa, per una conferenza a Bologna, sulla terapia del cancro nell'anziano, organizzata da me e dal nostro gruppo di Bologna, e lui fa la sua relazione poi mi accompagna a cena e mentre siamo in macchina mi fa: "Ti ricordi il libro che mi hai dato?" .... Io non mi ricordavo più! e allora dico: " ...E' bello?"
E allora lui fa: "No, no. Guarda che quel libro lì, io non so ... A parte il fatto che vorrei veramente dare una tirata d'orecchi a chi l'ha scritto in quell' italiano veramente impressionante. Però quel libro lì è eccezionale, assolutamente eccezionale. Io voglio conoscere il movimento. Dimmi chi fa queste cose che sono scritte qui. Voglio conoscere il movimento perché quello che mi impressiona è la coerenza con cui don Giussani è andato avanti in questi anni. E quello che è scritto qui è eccezionale. Bisogna tradurlo in americano, datemi la libertà di farlo! Questo deve andare in America. In America nessuno parla più così."

Ecco. E' strano che l'importanza della nostra esperienza la debbano riconoscere gli altri e che non siamo noi. Sia sulla vita personale, sia sull'importanza generale. E' strano che siamo proprio noi a non giudicarla così! Noi che ci siamo dentro da tanto tempo ed è come se fosse una cosa qualsiasi.
Invece è esattamente un avvenimento di quel tipo in cui uno sorprende improvvisamente una risposta a quel che ha sempre cercato, ... confusamente mettete, ... con qualche flash, ... poi magari un pò dopo decade , ... poi ha altri problemi. Però è cosi!.

Ed è la risposta a questo avvenimento, per cui siamo qui oggi, il problema di oggi. E la risposta a questo avvenimento deve comprendere tutta la nostra vita. Uno è toccato quando ciò che sente dire o vede fare interessa il significato della sua vita. Perciò si tratta della mia persona impegnata in un imprevisto o imprevedibile caso o occasione in cui qualcosa, che da nessun'altra parte aveva sentito, gli ha toccato il cuore, anche lievemente.
Dobbiamo rispondere.
Ci sono tanti, che sono certamente più anziani di me e che ne hanno viste di tutti i colori; e tanti sono più giovani di me, non importa l'età né lo stato d'animo, né il bilancio che possiamo fare.
E' un fatto accaduto, bisogna rispondere (si tratta di questo) a qualcosa che si è incontrato e che ha preteso di avere un significato per la nostra vita ed il nostro destino, e, quindi, per la vita di ogni giorno.
E si tratta di rispondere in prima persona.
La Chiesa la chiama vocazione, chiamata. Siamo stati chiamati.
Vocazione, abbiamo una vocazione.
Questo fa grande il volto di ciascuno di noi. Perché non importa più che uno sia così o cosà. E' stato chiamato. Vuol dire voluto! voluto! Uno è chiamato perché è voluto.
E allora che cosa puoi accampare tu di obiezione? Quale? Sei stato voluto dall'inizio. C'è un'obiezione che sta in piedi? Una, ditemela!
Abbiamo le spalle al muro. Siamo stati voluti, abbracciati.

Allora questa risposta in prima persona ha come due livelli.
1) Questa risposta in prima persona è un grande compito. Il compito di richiamarci l'un l'altro alla memoria di Colui che è tra noi. Il grande compito di richiamarci l'un l'altro a riconoscere la presenza, che vuol dire riconoscere qualcosa di presente che mi provoca e mi cambia, e mi può cambiare.
Riconoscere una presenza: questo è il primo livello, grande, della nostra esperienza che quest'anno vogliamo fare insieme.
E questo riconoscere una presenza vuol dire che si declina esistenzialmente in una obbedienza che vuol dire: se c'è questa cosa che ti ha provocato e per cui sei qui e dentro vi hai letto in qualche modo un suggerimento che può cambiare la tua vita, cosa puoi fare? Andare da un'altra parte?
E allora è bello seguire, se davvero questa presenza incominciamo a sentirla come qualcosa che ha toccato la nostra vita, là dove nascono pensieri ed azioni. E' bello seguire, cosa volete fare? cosa si può fare? Andare da un'altra parte? Perché? Privilegiando che cosa?
Questo livello, seguire, guardare, imitare, sono tutte parole analoghe che ricordano che la grandezza di Cristo è che fu obbediente fino alla morte, ha detto san Paolo. E che noi abbiamo tradotto dicendo che si tratta di dare la vita per l'opera di un Altro.
Ecco, ricordarci che si tratta di riconoscere il mistero presente e perciò seguirlo, in questa sua presenza che significa che incominciamo a mettere davvero a disposizione la nostra vita di questo mistero. A questo mistero. Per questo mistero.

2) Il secondo livello in cui si articola la nostra risposta si chiama offerta.
(Qui, non è facile. E anch'io sono un pò tentennante se raccontarvi cos'è stata per me l'esperienza personale dell'offerta. Sono un pò tentennante perché è una cosa che mi tocca molto da vicino e ho paura di bloccarmi. Però adesso intanto accenno.) E' offrire a Dio, in qualunque momento della giornata, quello che si sta facendo. E non è solo il problema di riconoscerne la presenza e di ricordarlo, ma di offrire. Diventare coscienti della sua presenza, obbedienti alla sua strada ed al suo cammino è una cosa, ma offrire a Dio e offrire a Lui fa di questa cosa un avvenimento personale. Scusatemi, ma è come se da un certo punto di vista, da oggi in poi, incominciassimo ad intuire che la realtà è fatta da Lui, da Cristo. E ha senso perché c'è Lui, c'è Cristo.
E allora è come se tutte le cose, anche la penna che hai in mano con cui prendi appunti, ti fosse data in questo momento, e tu debba rispondere di questa presenza che ti hanno dato e quindi l'unico significato, l'unico modo di usarla nel modo giusto, è di ridarla a Lui, riconsegnarla a Lui, sentire che è sua.
Offrire significa questo: sentire che la realtà non è una cosa tua da usare come senti, come ti pare e per come stai, ma è come se una mano te la desse istante per istante e tu devi dire: "Signore, grazie."
Cristo è la consistenza di tutto. E' questo che ci fa vivere, altrimenti è tutto un'utopia, compreso il nostro impegno per essere migliori. E' la consegna a questa realtà ...... che ci fa riprendere coraggio anche quando fossimo umorati da tante questioni che ognuno di noi ha e che potrebbe accampare. Io nell'offerta capisco che Cristo è consistenza di tutto e che io debbo perciò in ogni cosa aver qui proprio un grido, (nemmeno spiccicato come parola, ma un grido che è sguardo, che è modo, che è intensità) che Lui si manifesti.
Beh, comunque io mi azzardo a dirvi l'esperienza che è stato per me il mistero dell'offerta.
Qualche anno fa io ho incominciato, come forse molti di voi sanno, ad eseguire a Bologna interventi molto particolari. Essendomi formato in America e da altre parti, capivo il livello medio basso con cui certe cose venivano gestite, soprattutto in ambito oncologico, nelle nostre università. E allora pian piano, dal niente (perché poi non ci vogliono nemmeno a noi, tenete ben presente) ma dal niente, come si poteva, con altri due o tre, ragazzi, ho incominciato a fare un gruppo. E sentendo sempre costantemente (abbiamo una specie di posta internazionale attraverso Internet) sentendo costantemente questi centri mondiali, ho cominciato ad azzardare interventi anche molto difficili, che nessuno faceva, o che molti non fanno. E così la voce si è sparsa e da molte parti d'Italia tuttora mi chiamano (e non c'entra il movimento, se non in piccola parte) mi chiamano per affidarmi un pò i viaggi della speranza. Ed è uno strazio incredibile, perché non si può far sempre tutto in questo tipo di dolore. E all'inizio, dopo i primi successi, ho avuto anche degli insuccessi, di cui due ricordo dolorosamente. Mi avevano veramente segnato, specialmente un caso. Ero a Milano. Mi avevano fatto responsabile del movimento centrale. Eravamo un gruppetto piccolo allora, stavamo tutti in un saloncino. Sono uscito fuori e Giussani (era un periodo che era stanchissimo) è venuto fuori e mi ha incrociato e fa: "Come va?".
"Non c'è male".
E lui fa "Come non c'è male. C'è qualcosa che non va".
"Ma, qualche problema sul lavoro. Comunque (come facciamo sempre noi) quello che abbiamo detto stasera è grande, perciò non c'è più problema".
Lui si è fermato, mi ha guardato in faccia e poi "Senti Enzo. Noi diciamo tante cose, quasi tutte stupidaggini. Quando diciamo una cosa che conta, non ne parliamo più. Che cosa c'è che non va?".
Eravamo in corridoio, io dicevo "come faccio a parlare così ". E poi la gente passava. Allora gli ho accennato il problema: "Guarda è due mesi che dormo poco perché mi è successa una cosa particolare per cui insomma .... io ho visto ... ho visto il dolore in faccia. E in questo dolore ci ho messo le mani anch'io. E non riesco più a dormire. Cioè io mi addormento, dormo mezzora e nel sonno mi vedo una faccia lì e io non riesco più a dormire, cioè.... Sono tutti preoccupati in casa mia. Mia moglie è preoccupata ... E' un incubo. Non so perché mi incolpo. Mi sembra che sia stato io e non riesco più a dormire".
E allora don Giussani si ferma e mi da la risposta più inaspettata, mi guarda fisso e:"Ma Enzo! Ma tu ti comporti come se Cristo non ci fosse! Ma come mai? Come se tutto dipendesse dal tuo merito. Ma se fai così non fai più niente. Come tutti. Non rischierai più niente, non cercherai più niente. Cercherai di gestire il più possibile le cose che puoi gestire. Farai come tutti."
Caspita era vero! Come ha fatto non lo so. Perché io avevo appena finito di dire ad Ugolini, il fratello dell'Elena, che alcuni di voi conoscono, che è un mio giovane assistente, ed all'altro Rosatti, avevo appena finito di dire: "Ragazzi basta. io non voglio più fare queste cose qua. Devo far carriera, pubblichiamo, facciamo certe cose, ma cerchiamo di fare le cose che funzionano".
E poi fa:" Io però di questo voglio parlarne ancora Enzo. Non si può vederci presto? E' una cosa troppo importante".
Ci siamo visti di lì a due giorni a pranzo. Era stanchissimo.
"Senti. Allora, raccontami da capo."
E io: "Senti, guarda, è passato tutto. Non ho più niente. Anzi adesso tutta sta storia ...... io ho la cappella che è sopra al quarto piano da me, vado lì la mattina presto, dico una preghiera e vengo fuori che le cose sono più chiare, sono più tranquillo e le cose sono al loro posto."
Allora lui ha avuto uno scatto: "Cosa pregare, pregare! Cosa pregare! Quello che non s'impara è offrire. Tu non sai offrire. Perciò quando sei lì e ci sono le cose che non vanno, è offrirle che te le fa riabbracciare. Cosa preghi a fare? Non sai offrire. Quando sei lì che le cose non vanno, e non capisci, è offrire che ti fa ricominciare da capo con una umiltà che ti farà chiedere dove tu non saprai fare e con una determinazione ad andare fino in fondo, a rispondere fino in fondo, senza tirarti indietro, per quello che sei fatto."
Era la chiave di volta.
E così ho ricominciato. E chiedo dove non so e do fino in fondo quello che so.
Non è sempre tranquillo. Qualche volta quei volti mi tornano ancora, ma credo che sia naturale così.

Allora bisogna offrire. Bisogna che ci aiutiamo ad offrire. Non solo ricordarci Cristo presente, ma ad offrire, che significa una sensazione fisica che la realtà sorge attimo per attimo da quella presenza che la plasma. E così anche noi cominciamo, così umili da servire questa realtà, e così determinati da dare tutto quello che si può dare, perché questa realtà si manifesti, si evidenzi tutta oggi. Non domani. Oggi. Adesso.

E allora capiamo che è stato possibile il sì di Pietro.
Pensate, eravamo giù per le scale della sede centrale quando uno ha detto a don Giussani: "Caspita che coraggio che ha avuto Pietro a dire sì a Cristo!" E lui si è quasi arrabbiato. "Quale coraggio? E' stato lo stupore che gli ha fatto dire così. Non è stato il coraggio che ha fatto dire a Pietro: sì, ti amo" . Perché il coraggio significa muscoli e mente, e vuol dire che ci sono dei privilegiati. No, è stato lo stupore di trovarsi di fronte una presenza misteriosa che ti vuole ancora nonostante che il bilancio della tua vita sia quello che conosci, come io conosco il mio, ma ti fa dire sì. Non è una coerenza morale all'interno della quale possiamo tutti dire di sì, e noi poveri cristi, pieni di dubbi e di tormenti, questioni e tentativi, che di fronte alla presenza che oggi ci si pone di fronte ancora, ancora una volta oggi, qui, ridiciamo sì come la prima volta. Come da bambini. E si ricomincia, si ricomincerà sempre, perché questa è la morale cristiana. Sempre si ricomincerà, come la prima volta. E chiunque è con noi, è con noi fino in fondo, da questo punto di vista. Perciò il sì di Pietro e gli esercizi della Fraternità. Nel libro che dovreste avere tutti si dice: L'essenza della moralità è l'amore. E l'amore è un giudizio commosso, un giudizio che percepisci connesso col tuo destino. Un giudizio commosso che ti muove, un giudizio commosso per una presenza che percepisci connessa col tuo destino. E chiunque ha questa speranza si purifica, come Egli è puro.
Ci possiamo stare dentro tutti, dal primo all'ultimo.
E questo sì che diciamo, portandoci dietro il peso di quel che siamo e la grandezza di quel che siamo. Non c'è altro da fare. (per fortuna è così ......)
Allora, scusatemi, la cosa che dobbiamo introdurci in questo inizio anno è un'autocoscienza nuova. Parola difficile che vuol dire: un modo nuovo di pensare a noi stessi. Dove in questo modo nuovo di pensare a noi stessi cambia il soggetto. "Non sono più io che vivo, ma sei Tu che vivi in me". Cambia il soggetto dell'azione: è Lui che fa, e noi possiamo finalmente provarci sempre, e riprovarci sempre. Perché santo non è colui che sa fare tutto, ma è colui che ricomincia sempre. Non è colui che non sbaglia mai, sbagliano anche i grandi, è colui che ricomincia sempre. Possiamo ricominciare ancora, un'autocoscienza, una coscienza che tende a diventare coscienza di Cristo, soggetto di ogni azione: non sono più io che vivo, sei Tu che vivi in me. E' un Tu. Per dire io diciamo tu. E allora davvero il coraggio non è più una cosa di alcuni o per certe caratteristiche personali, e da subito vien da dare la vita. Forse che il problema è vivere? (ricordate Girolamo?) Forse che il problema è vivere? Ma è dare con letizia quel che siamo.
Allora se questo è il punto, un'autocoscienza nuova che genera un mondo nuovo, perché, scusatemi, quest'autocoscienza nuova è un modo nuovo di usare e pensare tutto. E da lì incominciamo. La gloria di Cristo è in questo mondo, perciò se io mi sottraggo a questo lavoro che abbiamo delineato, sottraggo nella storia gloria a Cristo, e questo è il grande delitto, per cui non possiamo più venir meno.
E' la memoria di Cristo, allora, la memoria di Cristo in cui comincio a credere e incomincio a tentare di vivere così.

Ma, c'è qualche cosa che ci può aiutare? C'è qualche cosa che ci può aiutare in questo lavoro che sentiamo che non possiamo più ritardare? C'è qualche cosa?
Sì, c'è qualche cosa. E' una cosa forse un pò inflazionata, almeno come nome la sentiamo spesso, o l'abbiamo sentita spesso, però è una cosa che adesso a questo punto deve mostrare tutta la forza che ha dentro e che ancora resta da scoprire o è stata scoperta: si chiama Fraternità. Ecco lo strumento, grande, con cui il movimento ci ha dato una mano e ci da una mano nel lavoro che abbiamo detto prima: ricordarci di Cristo e offrire a Lui tutto, riconoscerlo presente e offrire a Lui tutto.
La Fraternità, nella terminologia del movimento è questa amicizia che sente come suo grave compito il richiamo all'amico di questa cosa qui che ci siamo detti, e che lui lo richiami a me. Perché ricordandolo a te lo richiamo anche a me.
Si chiama Fraternità. Molti chiedono che cos'è la Fraternità. Oppure dicono: noi stiamo facendo la Fraternità? boh? non sappiamo bene. Allora ad alcuni è stato detto: Beh, può venire un prete a darvi una mano. Poi ci si accorge che il prete va a dare una mano e la Fraternità è uguale a prima. E allora quelli del gruppo adulto.... poi ne sappiamo quasi più noi, è un pò un problema .... Allora come si fa? Allora dobbiamo dirci qui che cos'è la Fraternità, e darci una mano tutti, esterni, interni, e d'ora in avanti dirlo sul serio.
La Fraternità è gente che si riconosce amica e si raccoglie periodicamente per richiamare la memoria, per richiamare che Cristo è presente. Per sviluppare una consapevolezza critica di questo: il perché, il come, le ragioni; se è contro la ragione o se invece la ragione cresce in questa esperienza, se la vita è distratta o tradita, se la vita è aiutata, se la vita è morale .... insomma, dobbiamo aiutarci. Un gruppo di amici che si aiutano a ricordare Cristo per capire se..... come una verifica. Con dentro l'idea di una verifica che più si fa così, più si diventa umanamente compiuti. E' un gruppo, perciò. Cristo ne aveva dodici. Ha conquistato il mondo con dodici. Altri sono cinque, altri sono venti, altri sono trenta. Alt! Sopra trenta secondo me comincia a diventare un pò difficile essere affiatati. L'importanza della questione dice che bisogna che ci ricordiamo Cristo, che ci aiutiamo a vivere così. Perciò anche cento potremmo lavorare, ma sopra trenta bisogna pensarci.
Comunque uno fa quello che può e fate come volete, da un certo punto di vista, con i numeri; l'importante è che ci sia quel contenuto, quel compito.
E, scusatemi, io ho visto con i miei occhi, certe famiglie, in cui c'era stata una decadenza anche (ma è naturale spesso) dell'affetto tra loro, riscoprire una grandezza e una profondità di affetto fra marito e moglie, un'attenzione ai figli, una modalità di pensare all'avvenire dei figli, un modo di aiutarsi vicendevolmente, lo stringersi insieme quando una disgrazia è successa, un aiuto economico per qualcuno che ha avuto dei problemi. Ho visto dei miracoli autentici, perché questo è un miracolo. In questo mondo qui che ci sia gente che si guarda e si sente così è un miracolo autentico. Sono brani, sprazzi di un popolo nuovo che, quando Dio vorrà e se Dio lo vorrà, influenzerà tutto il mondo. Ma incominciamo subito da noi a sentirle come cose nostre che stanno succedendo tra noi e incominciare a dilatarle tra noi perché si possano dilatare nel mondo.
E come faremo a ricordarcelo? Come faremo a ricordarcelo se la Fraternità è un gruppo di amici che si mette insieme per il lavoro che abbiamo detto prima, cioè riconoscere Cristo e offrire? Come faremo a ricordarcelo? Come faremo?
Ma no, ma è semplice! Due cose.
1) Scuola di Comunità.
La Scuola di Comunità è il modo con cui ci aiutiamo a rendere ragione di ciò che ci è successo, tra di noi e con chiunque. E fate che questa Scuola di Comunità sia davvero il posto dove invitiamo la gente. Abbiamo detto ai ragazzi, ai ragazzi .. , ai ragazzi dell'università: "Ragazzi , da quest'anno il posto pubblico dove invitiamo la gente, chiunque incontriamo, è scuola di comunità". L'hanno fatto. Ho fatto un raduno di scuola di comunità con una marea di gente, gente nuova. Abbiamo detto sulla santità quello che pensiamo. Ho visto gente commuoversi. Ragazzi normali ... Ne abbiamo due o tre, adesso, stralunati, che hanno cominciato a cambiare e ci vengono dietro.
Che la Scuola di Comunità cominci a diventare per noi il punto decisivo personale, dove incominciamo a capire le ragioni e ci stiamo dentro per darci le ragioni di quello che ci è successo. Ma immediatamente dopo sia davvero il posto, perché lo è, lo è. La gente cosa volete che chieda davvero alla vita se non una risposta per starci. E noi perché dobbiamo stimare di meno quello che altri stimano come grande. Sia il posto dove invitiamo, tutti, tutti. Non ce n'è uno che possa restare fuori, chiunque sia. Discuteremo facendo Scuola di Comunità.
Facciamo così, ma innanzitutto facciamola bene noi, perché allora, venendo la gente, incontra degli esseri umani che fanno, non un'organizzazione. Allora facciamola bene noi, perché questo è lo strumento che fa penetrare nelle ragioni di ciò che ci è successo, "perché sappiate - diceva san Pietro ai primi cristiani che erano veramente bifolchi (perché sappiamo che ci stiamo dentro tutti) - sappiate rendere ragione di ciò in cui credete." Io immagino sempre quella gente che è partita da Israele. Pensate cosa dovevano pensare i Romani o i Greci di gente così: erano veramente i marocchini della storia, ma sul serio. E questi andavano a Roma e parlavano con tutti .... Ma vuol dire un'autocoscienza, cioè un modo di pensare a sé, dove la grandezza non è certo un bilancio, un consenso sociale, che incomincia davvero a percuotere il particolare della nostra vita fino a renderla finalmente grande come abbiamo sempre desiderato, solo che se questo lo facciamo col criterio del mondo vogliamo il consenso, se lo facciamo col criterio che ci rende felici bisogna lottare, e il cambiamento personale è garantito, cioè il gusto.

2) Ma c'è un altro modo di fare scuola di comunità: ed è ... un'amicizia che ha come compito di ricordarsi di Cristo. Ma, per esempio, anche confessarsi vicendevolmente come va, no?, confessarsi vicendevolmente come si è vissuto, confidarsi come è andata, la difficoltà in cui ci si trova, ... non è male. Rompere un pò queste abitudini associative per cui si fa la riunione e si viene via e "è fatta anche questa..", invece venire via che non si può più essere come prima, con un'inquietudine nuova, in cui quelle domande che ci facciamo davvero ........ e allora cominci a dire: "Beh, questa è l'amicizia che vogliamo".

Questo è quello che ci chiediamo. Perché la memoria di Cristo deve plasmare in modo diverso il mio atteggiamento verso la vita, e il modo l'abbiamo detto: la Fraternità, Scuola di Comunità e il dialogo fra noi che permette qualche volta di dire, una volta almeno, "Oh, c'è questo problema." e stringersi insieme a darci una mano.
Allora cosi, ogni momento, perché la vita sono le circostanze concrete, il resto non c'è, il resto non esiste più, prima e non esiste ancora, c'è quello che c'è, cominciamo da lì, aiutati da scuola di comunità a darci le ragioni, che libera l'immaginazione per un aiuto vicendevole fino al concreto. Nasce lo spettacolo di brani, come ho detto prima, di un popolo diverso dagli altri, di una società diversa, convertita, con un clima diverso, per un clima diverso.
E questo clima diverso, e finisco, è descritto in maniera incredibile (è stupenda questa cosa qui) da una frase che voglio leggervi, anzi due. Questo clima diverso, che vi ho descritto come lavoro, come modalità ecc.. questo clima diverso ha due caratteristiche: la prima è quella che ha detto Rondoni (mi pare all'inizio), e che io ripeto citando san Paolo "stimate gli altri migliori di voi" . Scusatemi, eh?. Pensateci su un attimo. Queste cose si possono dire e non pensarci. Uno dice "ah, sì, sì", però non ci pensa, perché se ci pensi è immediatamente un giudizio su come ieri hai trattato tua moglie. E' un giudizio su come ieri hai trattato il marito. E' immediatamente un giudizio s come ti sei comportato qui, che hai salutato quello e quello. E' immediatamente un giudizio. Lo possiamo dire tranquillamente perché non ci pensiamo. Se ci pensiamo è un giudizio. E infatti è un giudizio.
Stimiamo gli altri migliori di noi. La fraternità dà un clima in cui diventa possibile, come stima vicendevole, stimare gli altri migliori di noi. E perciò una umiltà che è la caratteristica fondamentale di chi vuole conoscere Cristo. Una umiltà, una umiltà che è quella che faceva parlare san Francesco d'Assisi nella seconda pagina, che vi leggo, che descrive il clima che vogliamo fra noi e che dà il criterio con cui il movimento ed il carisma ci ha fatto sentire l'amicizia fin dall'inizio, nella lettera di san Francesco d'Assisi ad un ministro del culto: "Ama coloro che agiscono con te in questo modo". Ama coloro che agiscono con te in questo modo, cioè tutti quelli che hai intorno. Io penso, non so, alle mie segretarie, o alla gente che ho in ospedale, le infermiere.. Ama, così. Ama coloro che agiscono con te in questo modo. Ossequiente, rispettoso. Non esigere da loro altro che non ciò che il Signore darà a te, come dà a te quel che dà, e non ti si può far pretendere di più. Così tu non pretendere di più dagli altri di quello che non possono dare.
Ma dopo, ecco la conferma. In questo amali. Cioè in questo che il Signore dà loro come capacità di fare, amali. In questo amali. Non pretendere (ma come è grande questo) che diventino cristiani migliori. Non pretendere che diventino cristiani migliori ... Amali. Subito. Adesso. Non perché diventano migliori. Amali adesso. E' lo sguardo che dobbiamo portare come offerta. Immediatamente. Amali. Adesso. Non perché diventano cristiani migliori. Perché i cristiani migliori sono come li vuoi tu, non come li vuole il mistero.
Amali. In questo amali. Non pretendere che diventino cristiani migliori. Questa è l'umanità che vogliamo . E' un'umanità che non ha precedenti da nessuna parte .
Perciò la nostra parola d'ordine, concludendo, moltiplicare le fraternità, semplificare cosa sia la fraternità, meditare scuola di comunità, giudicando e ricordando la sua presenza, perdonando tutto, tutto, continuamente.
E questo migliora davvero la vita così com'è, se l'aspettiamo da tanto tempo.