ENZO PICCININI

Inserto Tracce giugno 2000  (n.b. da correggere)
Una cosa dell’altro mondo. In questo mondo.
(a cura di Alberto Savorana)

I1 26 maggio 1999 è morto in un incidente stradale Enzo Piccinini. Chirurgo stimatissimo e responsabile di CL, ha lasciato la moglie Fiorisa e i figli Chiara, Pietro, Maria e Annarita. Abbiamo pensato di ricordarlo pubblicando la trascrizione di un intervento all’Happening dei giovani a Bologna nell’estate del 1995. Gli universitari lo avevano invitato a presentare le Lettere sul dolore di Emmanuel Mounier. Lui medico aveva, infatti, una passione sfrenata per la lettura, il che segnò i suoi primi incontri milanesi con don Giussani, che ogni volta gli passava qualche libro dei suoi. E chi scrive ricorda i primi incontri con Enzo all’Università di Bologna - era il 1980-81 - e quella libreria in casa sua a Modena con uno scaffale di libri misteriosamente ricoperti di una carta bianca che non lasciava trasparire nulla. Erano i libri che gli aveva dato don Giussani nel corso degli anni, questo lo scoprimmo più avanti quando Piccinini cominciò a fare lo stesso con alcuni di noi. Ora molte di quelle opere sono finite in una collana della Bur Rizzoli e si chiamano “i libri dello spirito cristiano”. Comunque, quella serata all’Happening di Bologna divenne l'occasione per una testimonianza a tutta la città: che “Dio si è fatto uomo” significa che “tutto il cammino, la ricerca, la capacità dell’uomo acquistano una forza di aggancio alla realtà totalmente diversa; cambia tutto... Questa è l’Ipotesi positiva in assoluto... Si è fatto compagno degli uomini perché la vita possa non essere vana” (p. 7,). Il resto lo lasciamo alla lettura.

Il mio mestiere non è il letterato. La passione per libri come le Lettere sul dolore di Emmanuel Mounier nasce in me da lontano ed è un’esperienza che mi dà il coraggio di dire quello che dirò, perché ci dovrebbe essere ben altri al posto mio, più capace e più impostato. Quello che faccio è per passione, non per mestiere, e viene da lontano, lo ripeto, perché io sono cresciuto con questi libri. Quando ho reincontrato l’esperienza cristiana, dopo un periodo di obiettivo sbandamento, avevo perso la formazione che la vita cristiana mi aveva dato e soprattutto l’amore all’umanità, all’uomo, amore che avrei recuperato, riscoperto dopo, proprio rientrando nell’esperienza cristiana. Incontrando don Giussani, anni fa, si era accorto del mio disagio, perché mi sembrava sempre di essere fuori posto rispetto a chi credeva. Ricordo che mi chiese se mi piaceva leggere. “Da sempre” ho risposto, perché era una passione antica. Mi ha chiesto se accettavo di leggere qualche libro; non sapevo che proprio quello sarebbe stato il modo che mi avrebbe fatto crescere. Così mi ha consigliato per due, tre anni, dei libri ogni mese, ogni due mesi. Il primo libro fu Ad ogni uomo un soldo. Quando lo presi in mano - un po’ per pregiudizio e un po’ perché c’erano delle “pause” che non erano il massimo dell’esaltazione - lo lessi saltando molte pagine per arrivare a finirlo. Finito, chiusi il libro. Un mese dopo incontrai Giussani, che mi chiese subito che cosa pensavo di quel libro. Mi stupì perché pensavo fosse un regalo e basta, e non che mi avrebbe chiesto un giudizio. Guardando Giussani facevo mente locale al libro, a quello che avevo letto, soprattutto volevo fare bella figura: fattomi serio, ho detto quello che, secondo me, poteva fare piacere a un prete: "Questo libro mi ha insegnato a pregare". Giussani ha cominciato a ridere, poi mi ha detto: “Questo è un libretto che si legge in spiaggia, cosa ti viene in mente!?”. Da quella volta non ho mai azzeccato un commento a un libro, però ho reimparato i primordi, le leggi essenziali che nascevano dall’esperienza cristiana e che nella collana Rizzoli “i libri dello spirito cristiano”, che sarebbe nata molti anni dopo sotto la direzione di don Giussani, venivano proposte come esempio. Credetemi, non si parla volentieri delle cose a cui si vuole più bene e questi libri sono una di quelle cose, perché con essi ho reimparato un’esperienza umana, cioè cristiana, cioè umana. Pensando a quello che dovevo fare oggi ho guardato a quello che il direttore stesso ha messo come criterio di affronto della collana e vorrei riproporlo perché è stato esattamente il criterio che ha guidato me e Io capisco bene adesso, non allora, quando mi piacevano libri che proponevano contenuti meno profondi. L’unico commento che ho azzeccato, dopo tre anni, è stato sul libro Ilia ed Alberto. Quando ho espresso il mio giudizio,Giussani mi ha detto: "Bene, capisco che hai capito". Per me è stata una riscoperta grandissima; ho ancora tutti i suoi libri (che lui dice sempre che gli ho rubato!). Prima di presentare le Lettere sul dolore voglio fare una premessa. Sarebbe bello anche fare qualche accenno, fare giustizia elementare, sulla formazione che abbiamo, tutta fondata sull’immagine, e che ha scartato e sta scartando l’aspetto più importante e, a mio avviso una cosa dell’altro mondo. In questo mondo parere, più completo della libertà, che è la lettura. Sarebbe interessante, ma non è questo il luogo. La prima questione che colpisce è l’affermazione che c’è nella Introduzione - che si ripete in ogni libro della collana , un’affermazione che noi diamo per scontata e, invece, è la cosa più importante del mondo, da quando il mondo esiste: Dio si è fatto uomo. Per farmi capire: il Big One - come tutti sanno - sarà un terremoto incredibile per cui metà della California crollerà in mare; sarà inesorabile e tutti l’aspettano. Sarà tra un mese, tra un anno... non so, ma succederà. Il Big One, questa catastrofe che sarà, non è niente rispetto a questa rivoluzione, a questo Fatto. è un Che Dio si sia fatto uomo vuol dire che tutto il cammino, la Da ricerca, la capacità dell’uomo acquistano una forza di aggancio,però alla realtà totalmente diversa; cambia tutto. dall’e-Se fino a quel momento la capacità, le doti personali hanno un ipirito valore estremo, così come l’affermazione di sé, la possibilità di ne di riuscire da sé a legare sé all’infinito, da quel momento in poi cambia tutto: la passione alla realtà non è più per il risultato chele si ha; ed è inutile sottoiineario, ma, in fondo, il progresso dipens.si hode da questo. Non ci può essere nessuno scienziato che possa andare alla realtà senza un’ipotesi positiva su di essa; qualunque quello ricerca, anche la più banale, se non avesse un’ipotesi positiva sulla la col- realtà che affronta, non permetterebbe alcun passo.io che Questa è l’ipotesi positiva in assoluto: Dio si è fatto uomo, il Io mi che vuol dire che ciò che abbiamo sempre cercato, che io ho sempre cercato, anche inconsapevolmente nei giochi da bambini,io sulnella donna che ho amato, nella carriera, è qui, è presente. dizio,L’imprevedibile è diventato un avvenimento reale. Si è fatto compagno degli uomini. Ma perché? Questa è la più bella cosai SUOi del mondo e servirà a capire il libro: perché la vita possa non essere vana. Perché non ci sia più niente da buttare via.a pre-Che Dio si è fatto uomo vuoi dire che Dio ha preso su di sé -dandogli il significato per la partecipazione che Lui ha alla vicenmen- da umana - ogni particolare, bello o brutto che sia.aglne,E poi la vita non è più vana perché è impregnata del Mistero; a mio questo vuoi dire che anche quando non capiamo accade, perché7Enzo Piccinini ilMistero non è sulla nostra lunghezza d’onda, come deve nonessere. Perciò possiamo offrire, ma anche questo va da sé.qiAllora il criterio di lettura per “i libri dello spirito cristiano èCscoprire che Dio si è fatto compagno agli uomini, cosicché la vita possa non essere vana. Illibro di Mounier, come gli altri, vuoi narrare una esperienza umana critica che, affrontata secondo questa ipotesi - la fede -, diventa vivibiie, più vivibiie. Don Giussani, infatti, parla di “un’umanità che realizza la sua passione per l’esistenza e la sua adesione ai dramma della vita con un realismo e una profondità altrimenti impossibili”.C’è una sfida dentro questi libri ed è la cosa che mi ha appas-e sionato, io che avevo abbandonato da tempo la possibilità che il 11 cristianesimo potesse essere una sfida per l’uomo, essere una promozione della mia umanità. La sfida è questa: chi accetta di vive- ci re sul serio la fede scopre che la propria umanità è cento volte di più, è veramente umana.D’altra parte, non credo che sarei nel cristianesimo, se noncapissi lucidamente questa possibilità in più di umanità. Fuori da qui non ce umanità. P Questo è il punto. “Questi testi ne sono una documentazione particolare, specie dove le parole scavano nei fatti e nel cuore contutta l’energia della grande arte”.IlNell’incontro con questo Fatto storico, la ragione, la volontà, l’affettività umana sono provocate a realizzarsi e a compiersi secondo tutta l’ampiezza del loro desiderio di giustizia, di bellezza, di bontà e di felicità.È una sfida che non sentiamo più soltanto perché non cogliamo le ragioni vere, profonde dell’esperienza cristiana. Ma è unaAsfida perché la vera umanità è scoperta solo nel drammatico rapporto col Dio fatto uomo, cioè presente; questo è drammatico. n“Si tratta di romanzi, saggi e testi non facilmente reperibili...perché in essi si scopre uno spirito cristiano impegnato a scoprireFe a verificare la ragionevolezza della fede dentro le circostanzeadella vita”.Il libro di questa sera, Lettere sul dolore di Mounier, lo conoscoperché, nella mia disordinata gioventù, ho partecipato anche allaa8Una cosa dell’altro mondo. In questo mondoioncostruzione di una Casa Editrice abbastanza dilettantesca, nella quale editammo di Mounier un grosso volume (Lettere e diari, Città Armoniosa, Reggio Emilia, 1982; ndr). Questa e un antologia, una specie di fiori scelti da quei libro.Lettere sul dolore sono come punti, pezzi di lettere, del grande epistolario di Mounier a sua moglie, ai suoi amici su questoe -,tema. Perché, lo scopriremo leggendolo, nella sua vita c’era una di vicenda che lo riguardava personalmente e, appunto, c’era in luisuatutta l’esigenza di comprenderne la ragionevolezza attraverso la Iità fede.Lettere sul dolore, perché? Perché il dolore è la cosa più presente ,as- e più difficilmente accettabile della nostra vita. E qui che si deve e il misurare l’ipotesi che il fatto cristiano dà ragionevolezza: laddove iro- le cose sono necessarie, non dove le cose sono soprammobili, cose rve- che puoi mettere da parte.diLa verità dei Fatto cristiano, che rende la vita non vana, si deve misurare con le cose necessarie, che non puoi saltare, con le coseionche non vuoi o non vorresti.daIl dolore, l’esperienza del dolore, inevitabile per tutti, è la cosa più irragionevole al di fuori dell’ipotesi cristiana.neÈ bellissimo ripercorrere i passaggi che hanno fatto di Mounier on uno dei testimoni più belli e più importanti della possibilità che il dolore non sia soltanto un’ipotesi negativa.ità,Nell’Introduzione di Davide Rondoni al libro c’è un’osservaziorsi ne che fa capire immediatamente la differenza. Tanti si sono Lcz- misurati sul dolore e sulla possibilità di sopportano; tra essi si cital’insegnamento sui superamento del dolore di due maestri non a ia- caso oggi tornati di moda: Epicuro e Budda. E si fa un paragone. ma “In uno degli scritti sacri del Beato orientale si trova raccontato ap- questo dialogo tra il Maestro e Visakha: “Il Beato le disse: ‘Comemai sei qui a quest’ora, Visakha, con la veste e i capelli ancora umidi?’ [per il rito funebre, n.d.r.]. ‘La mia cara nipote è morta, per questo sono qui’... ‘Visakha, chi ha cento cose che gli stanno a cuore ha cento dolori. Chi ha novanta, ha novanta dolori. Chi ha ottanta, trenta, venti, dieci cose che gli stanno a cuore, hascoottanta, trenta, venti, dieci dolori. Chi ha una cosa sola che gli sta alla a cuore, ha un solo dolore. E chi non ha nulla che gli sta a cuore,9Fnzo Piccininicostui non patisce nessun dolore. Ed è sereno colui che non pati-tentaisce dolore né passione. I dolori, i lamenti e i patimenti in questocnistiamondo sono innumerevoli a causa di ciò che abbiamo caro: mapito sse non vi è nulla che ci sia caro, non vi sono dolori. Perciò sono.. E c.felici e liberi da sofferenza coloro che non hanno nulla di caro aimondo”‘. Quanto è diverso da questa posizione che geia l’affetti-vità [bellissimo!] e censura la natura appassionante del vivere loslancio con cui Cristo si ferma dinnanzi alle situazioni del dolore SoIcraccontate dal Vangelo”,conte Solo per fare un esempio di come Gesù condivide la ragionevo-stimaiezza della fede che scopriremo nei libro, pensiamo a quandol’unicincontra la vedova di Nain, un episodio noto a tutti: il figlio dideserimadre vedova morto, il pianto intorno a lei e la gente e i discepo-nianoli che si aspettano da Lui il miracolo, cioè la restituzione imme-vita fidiata dei ragazzo, perché questa sembrava la risposta più imme-fondadiata, desiderata, voluta, importante in quella situazione.mond Immaginiamolo vicino alla donna, mentre le mette la manomisursulla spalla - la donna che piange distrutta, perché le è stata toltalogavl’unica cosa che vale - e le dice: “Donna, non piangere”.che a Ci vuole una grande umanità per capire che la cosa più difficile Poida sopportare è il dolore e che la cosa di cui abbiamo più bisognogiatuxè che nel dolore ci sia qualcuno con noi che condivide e ci aiuta a L’hcnon essere soli. Ci vuole solo una grande, infinita, straordinariaMou.rumanità.alla o E questa la vita umana, non è la censura o il “cielo” o i’autocon-sennatrolio; è l’espressività tutta, ma destinata. And Il Vangelo è pieno di questi esempi. Quando sono stato invita aPalestina ho visto il luogo dove Cristo, guardando il Tempio, sida qumise a piangere. Un uomo! Gesù ha un sentimento umano delladareivita; sapendo che quella città sarebbe stata distrutta, pianse sudell’uNGerusalemme. Per vivere, questa umanità non cela la passione, non cela l’e-spressività. Continua Rondoni: “Non un distacco dalla condizione umana, 1.ma una passione commossa dinanzi alla sua pena: questa è launa cgrande novità introdotta dai cristianesimo. È da tale novità didove Iatteggiamento che è nata una civiltà che ha saputo accogliere e 12 FUna cosa dell’altro mondo. In questo mondotentare la cura del dolore: non a caso la tradizione degli ospedali ècristiana, mentre in ogni civiltà non cristiana [questo mi ha colpito sempre molto!] si afferma il culto dei sepolcri”.*E così. E questa ipotesi che ci sta a cuore.Solo un accenno su Mounier. È l’unico, a mio parere, tra i suoi contemporanei, che abbia saputo, partendo dalla posizione cristiana, fondare una posizione civile costruttiva: un movimento. E l’unico, perché altri sono intellettuali un po’ come cattedrali nel deserto; Mounier, invece, ha creato almeno due cose che testimoniano che questa posizione che stiamo narrando intersecava la vita fino in fondo, tanto è vero che ha rischiato anche civilmente fondando Esprit. È una rivista alla quale girava intorno tutto il mondo laico e cattolico; tutto il mondo intellettuale di allora si èmisurato con Esprit. Dicevano che era comunista solo perché dialogava, ma Esprit è stato il primo che ha denunciato il sopruso che accadeva all’Est, mentre gli altri non dicevano nulla.Poi ha creato un movimento, il “personalismo”, di grande forgiatura filosofica, però un movimento di gente.L’ho detto perché mi interessa sottolineare che la posizione che Mounier ha di fronte al dolore è una posizione che genera, fino alla capacità civile di far qualcosa di permanente. Non era un sentimento, ma un fatto.Andiamo a scorgere in questa antologia i cinque passaggi della vita di Mounier che lo caratterizzano di più e facciamolo a partire da questa sfida, quella cioè che l’ipotesi cristiana sia capace di dare ragione all’unica cosa che mette in difficoltà sul serio la vita dell’uomo, cioè il sacrificio di sé.1. Vediamo il primo passaggio; sono le prime lettere e ce n e una che è straordinaria e guarda proprio il mondo intellettualedove lui è immerso, soprattutto il mondo universitario.12 gennaio 1928, siamo agli inizi, questa è la posizione che gli11Enzo Piccininidarà la forza di affrontare quello che vedremo dopo.“Più si vive, più ci si accosta a Pascal: l’unica cosa che conta [ci sono delle espressioni sentite, ma soprattutto lette, che sono come l’Everest della vita. Uno potrebbe tentarne tante, ma quellala esprime più di tutte] è l’inquietudine divina delle anime inap-j pagate”.iVedete, la differenza sta tutta qui: che ci posa essere nellanostra vita un’inquietudine divina - non è che uno è divino! -’un’inquietudine messa da chi ti ha fatto, da Dio. Inquietudine significa un permanente ricercare un significato della vita, che non è tuo, un permanente interesse, che si può impiantare solo su anime inappagate.Questo è il punto! Le anime inappagate che noi siamo, per cui Cristo ha terreno su cui attecchire. Chi è già a posto non ha spazio per l’esperienza cristiana. Non c e niente di più anticristiano di chi cerca di mettersi a posto la vita. La vita cristiana è un permanente dramma del rapporto fra te e la presenza del Mistero, ed è questo che fa viva la vita, a 90 anni come a 2. E non ti permette di adagiarti su niente, ma di abbracciare tutto liberamente; tutto è tuo, ma non è tuo.Ma ecco il punto più interessante della sua vita.“Vedi, è assolutamente necessario che diamo un senso alla nostra vita. Non quello che gli altri vedono e ammirano, ma il tour de force che consiste nell’imprimervi il sigillo dell’Infinito!” (12 gennaio 1928).Finalmente qualcosa che fa della vita un’avventura: non quelloche gli altri vedono e ammirano, non una bella figura, ma “iltour de fo rce che consiste nell’imprimervi il sigillo dell’Infinito”.Le anime inappagate che guardano il mondo e le cose che hanno come realtà che sono state date; le anime inappagate e l’inquietudine divina di chi si alza al mattino e le cose che vede e conosce da dieci, venti anni è come se qualcuno gliele desse in quel momento. Questo vive la vita sul serio. Poteva non esserci niente eppure sono qui adesso!Questo fa stupire dell’aria che respiro, questo fa la vita grande,questa è la prima scoperta che nella mia vita ho fatto: che la vitacristiana è drammatica, non tragica, ma drammatica, perché è un12Una cosa dell’altro mondo. In questo mondorapporto continuo che tiene svegli la mente e il cuore, per cui ti[cistupisci delle cose che per tutti gli altri sono sempre uguali. nolla1’-2.11 secondo passaggio è scoprire che la vita vai la pena di essere[lavissuta perché c’è qualcosa di costantemente più grande di noiche ce la dona, istante per istante; e noi, alzandoci ai mattino,nerispondiamo a qualcuno e a qualcosa di quei che facciamo ehediciamo, non allo stato d’animo, non al programma della giorna-Iota. Mounier dice come concepisce lui “gente così”; gente così cheha impresso il tour de force dell’Infinito. Costituisce un gruppodi persone veramente unico, un popolo nuovo, diremmo noiadesso con la nostra terminologia, ma qui è più bello. “Inoltre, c’è stata la nascita ufficiale del movimento, che ha, daalcuni giorni, un nome, un locale, delle lettere intestate e che hainteressato e appagato gli uomini di azione. Ora le due posizionisono più lineari, tra l’Esprit e il movimento [lì c’erano tutte lecose che succedono ovunque, non era pacifica la questione, Espritera la rivista e, quindi, c’era la difficoltà del rapporto con il movi-mento che lui aveva fondato, il problema di chi era la rivista,ecc.], ma adesso era chiaro perché tutto quello che poteva essereun po’ falso, nel nostro vasto e scapigliato accentramento degliinizi, è ora regolato da una divisione dei compiti. I gruppicominciano a formarsi” (3 gennaio 1983). Cosa vuoi dire? È successo che gente così si è messa insieme,gente che nella vita ha posto il tour de force dell’Infinito, per cuiLenon è più un bilancio appena la vita, ma è rapporto con questoDestino e Mistero che mi fa istante per istante.i “Ho sempre pensato che dovremo durare, in virtù del caratterenjorganico dei nostri inizi: è dalla terra, dalla solidità, che deriva-necessariamente un parto pieno di gioia (ci è stato mosso il rim-provero di non avere ancora costruito abbastanza) e il sentimentopaziente dell’opera che cresce, delle tappe che si susseguono,aspettate quasi con calma, con sicurezza (tranne lo sconforto deigiorni d’angoscia). È dalla terra, dalla solidità, che deriva un13Enzo Piccininiparto pieno di gioia e il sentimento paziente dell’opera che cresce, delle tappe che si susseguono aspettate con calma, con sicurezza...” (3 gennaio 1933) ed è qui la svolta: “Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina [bisogna stampano su tutti i muri!], ma nasca dalla carne. Questa sera ho la consapevolezza che non difendo una posizione ma che, dopo un periodo d’indifferenza, si risveglia in me, mescolato alla fede che professo, l’uomo di questi ultimi giorni” (3 gennaio 1933).“Non ci resta altro che amare, amare Dio per quello che fa, eamare intensamente quelli che Egli spezza per amore. Io mi sentotanto piccolo di fronte a loro” (16 maggio 1933).Uomini così. Il movimento che nasce è il tour de force dell’Infinito; nella vita occorre soffrire perché non si cnistallizzi in dottrina. Non bastano le intenzioni, anche le più belle, le idee, anche le più belle; occorre che questa ipotesi che si ha entri nella carne, nella vita, intersechi le cose che ci interessano.Come è bello, allora, pensare che questo è l’invito che la nostra fede non sia ne un rito, né appena delle regole morali. Come èbello pensare che questo è l’indirizzo per cui scopriremo veramente ciò che chiamiamo verifica, quanto è vero quello che crediamo; perché entrando nella vita, laddove conta, laddove ci teniamo di più, scopriremo che è vero, ma occorre soffrire, cioè accettare questo lavoro. Senza questo lavoro non c’è verifica e senza verifica non c’è maturazione, si rimane infantili. Senza vedere come è vero non c’è maturazione e non c’è niente di più impressionante di una fede che rimane bambina e che al primo scontro con la vita si sfascia.3. Con il terzo passaggio c’è una nota di cronaca: ecco, allora, la caratteristica di questi uomini per i quali il tour de force dell’Infinito diventa importante nella vita e che lo accettano come un lavoro su di sé, facendo entrare questa ipotesi nella vita concreta, non solo nelle discussioni di salotto, non solo quando si sta bene, ma nella vita concreta; ecco, allora, la posizione di questi uomini nel mondo: prima bisogna “trasformare in gioia tutto14Una cosa dell’altro mondo. In questo mondoquello che la felicità ci rifiuta”. È utopico! Come si fa?(<Può darsi che Chàtenay sia stato una tentazione di felicità; Frire vorrei soprattutto che tu avessi il minimo di calma per poter esseano re sofferenza alla sofferenza, speranza alla speranza. Dobbiamo ape- inventare un nuovo tipo di presenza, simile a quella che ci è stata odo propria per molti mesi, in un clima di totale insicurezza. Tutto so, questo sarà più facile di quanto non si creda, nel corso delle giornate. Insieme dovremo rendere belle le ore che ci saranno date.Eà, eCamminando per strada, poco fa, ho cercato di far gioire il mio nto cuore. Non è stato difficile. Mi è bastato pensare (...) che ognisofferenza assunta in Cristo perde la sua disperazione, la sua stesrce sa negatività> (4 settembre 1939).li inMa “non si deve parlare di futuro nero (...) drammatico forse, dee, doloroso anche. Ma noi cristiani abbiamo solo il diritto di creare iella la gioia (penso alle belle pagine di Péguy sul cristiano che ottienel’acqua chiara con l’acqua torbida! Dovresti leggere proprio adesstra so i tre Mystères di Péguy)” (23 settembre 1939).ne è”Come nealizziamo poco e male la condizione cristiana del via!era- tor, il viaggiatore” (17 ottobre 1939). Chi è il viator? L’uomo cre- medievale, il viaggiatore, la gente del movimento, è l’uomo che e ci cammina con negli occhi e nel cuore l’ideale, la meta che non ha cioè raggiunto, ma certo di essere sulla strada per raggiungerla.ca eQuesta è la vita cristiana e così tutto diventa gioia, non perché nza tutto diventi piacevole, ma perché in tutto la luce dell’ideale può più dare forma alle cose solite, tramutandole in qualcosa che non ti imo eri mai aspettato prima.“Chi procede soltanto in vista di uno scopo, chi vive solo per uno scopo, disprezza tutte le preoccupazioni del viaggio, perché alla fine troverà il suo scopo, i suoi, la sua opera (...). Non ci resta che diventare cristiani veramente, se non vogliamo fallirea, latutto” (17 ottobre 1939).rceScusate la banalità dell’esempio, ma è per chiarire. Io abitavo a ano Reggio Emilia e avevo la morosa che stava a Bologna. Avevo solo rita una lambretta, con due sedili, come una volta. Faceva i 50, 60 o si all’ora, rimanevo sempre dietro ai camion e così arrivavo da lei Lue- sempre nero. Ma io non avevo problemi. Era la coscienza dello‘rioscopo! Se qualcuno mi avesse obbligato a farlo più di tre volte,                             15Fnzo Piccininil’avrei menato e, invece, quante volte l’ho fatto senza lamentarmi;dettoanzi, ero contentissimo, respiravo nero e via!comur Perché è il senso dello scopo che cambia la vita, che illumina leche faicircostanze concrete al punto tale che non sono più solo circo-condiistanze, ma circostanze con dentro qualcosa d’altro.niale, i È questo che fa la vita!casa iiigratuflco), laglie in 4. Arriviamo al quarto passaggio, quello cruciale. Mounier perbili, aianni con sua moglie aveva cercato un figlio. E arrivato, ma eraToucbuna microcefala, e gravissima, per cui tutto lo sviluppo digrazioFranoise è stato compromesso; allargandosi la massa cerebrale e È uxiincontrando una scatola cranica piccola, aveva compromesso Quetutto. “Ec A casa loro gira tutto il mondo della cultura francese di allora ebambiloro ricevono sempre con la figlia presente. Capinemo perché.piange Questa è la grande prova per cui il dolore comincia a essere sen-tutta]tito come qualcosa che arriva al cuore giorno per giorno, attimocoloroper attimo e che urge una risposta, perché altrimenti tutto sareb-odiatibe davvero assurdo.chi e Prima di fare un breve commento leggo le lettere più belle,future “Sento come te una grande stanchezza [non doveva essere facile!doci mIo descrivo impetuosamente, ma per loro era giorno per giorno,E soaiattimo per attimo] e una grande calma mescolate insieme, sentola terrche il reale, il positivo sono dati dalla calma, dall’amore dellamamnostra bambina che si trasforma dolcemente in offerta, in unadovreitenerezza che l’oltrepassa, che parte da lei, ritorna a lei, ci tnasfor-vremcma con lei” (11 aprile 1940).la. In “Occorre [e come non subire? Siamo in Francia. Come nonda quipensare a Lourdes, alla possibilità del miracolo, la possibilità di Quipensare che ci sia un modo meccanico di intervento del Mistero,Di coiche possa risolvere il problema!? Tutti ne parlano. Sentite come “Il Mounier e sua moglie affrontano il problema. È straordinario,svennperché il vero senso del miracolo è qui, non il miracolo per cuimessatutti si meravigliano e pensano che c’è Dio, perché questo Dio lounodà quando vuole Lui, ma il vero miracolo è tutti i giorni, come èda].                        16Una cosa dell’altro mondo. In questo mondodetto qui]. Occorre avere un cuore molto semplice per essere in comunione con tutti coloro che hanno creduto in Lourdes. Penso che farei una pazzia da un punto di vista semplicemente umano:condurrei Franoise a Lourdes non per chiedere il miracolo materiale, ma per mettermi in fila e conoscere la gioia di ricondurre a casa una bambina sempre ammalata, la gioia di aver creduto alla gratuità della grazia di Dio (e non al suo automatismo terapeutico), la gioia di sapere che il miracolo non è rifiutato a chi lo accoglie in anticipo sotto tutte le sue forme, anche sotto quelle invisibili, anche sotto quelle crocifisse, anche se si trattasse della fine. Touchard ha ragione: Franoise è più presente di una bambina graziosa e normale” (17 aprile 1940).È una posizione vertiginosa.Questo brano l’ho preso dall’antologia che curammo allora.“Eccoci nella stessa condizione [doveva essere duro!], poveri bambini deboli come sempre, le gambe stanche, il cuore stanco e piangente e la stessa mano si posa sulla nostra spalla mostrandoci tutta la miseria degli uomini, tutte le lacerazioni degli uomini, coloro che odiano, uccidono e fanno smorfie e coloro che sono odiati, uccisi, deformati per tutta la vita e tutto il cinismo dei ricchi e poi ci mostra questa bambina, colma delle nostre speranze future e non ci dice se ce la prenderà o se ce la nidarà, ma lasciandoci nell’incertezza ci sussurra dolcemente: “Datemela per loro”. E soavemente insieme, a cuore a cuore, senza conoscere se Egli se la terrà o ce la nidarà ci prepariamo a donargliela poiché le nostre mani deboli e peccatrici non sono in grado di tenerla [questo dovrebbe essere il rapporto normale con i figli] e soltanto se l’avremo messa nelle sue mani avremo qualche speranza di ritrovarla. In ogni caso siamo sicuri che tutto ciò che accadrà, a partire da quel momento, sarà positivo”.Qui c’è Un’intuizione straordinaria. Il primo sforzo qual è stato?Di convincersi che tutto andava bene? No!“Il primo sforzo è stato quello di superare la psicologia della sventura. Questo miracolo che un giorno si e spezzato, questa promessa su cui si è richiusa la lieve porta di un sorriso cancellato, di uno sguardo assente, di una mano senza progetti [era tutta flaccida], no, non è possibile che ciò sia casuale, accidentale. “È toccata17Enzo Piccinini loro una grande disgrazia” [la gente dice così]. Invece non si trattaci erodi una disgrazia: siamo stati visitati da qualcuno molto grande.quel tCosì non ci siamo fatti delle prediche. Non restava che fare silen-avevozio dinanzi a questo nuovo mistero, che poco a poco ci ha pervaso stanco della sua gioia. (...) Che significa per lei essere disgraziata? Chime. Vpuò dire che essa lo sia? Chi sa se non ci è domandato di custodirelui ae di adorare un’ostia in mezzo a noi, senza dimenticare la presenzadico. 4divina sotto una povera materia cieca? Mia piccola Franoise, tu”AIlorsei per me l’immagine della fede. Quaggiù, la conoscerete in enig- Urùma e come in uno specchio. In questa storia [ed è questa la gran-stessadezza del fatto cristiano], la nostra disgrazia ha assunto un’aria dilava pevidenza, una familiarità rassicurante, o, piuttosto, non è la parola calma giusta, impegnata: un richiamo che non dipende più dalla fatalità Qui(...). Rimanere padre e madre, non abbandonarti alla nostra rasse-tavolagnazione, non abituarci alla tua assenza, al tuo miracolo; donarti illeggelJtuo pane quotidiano di amore e di presenza, continuare la pre-dellaghiera che tu rappresenti, ravvivare la nostra ferita, poiché questalighenferita è la porta della presenza, restare con te.come Forse occorre invidiarci questa paternità incerta [non li ha maiCrisu chiamati papà e mamma!], questo dialogo inespresso, più bello mogli dei giochi infantili” (28 agosto 1940). Ed i “Ogni ora della sua lotta è la nostra lotta. Ogni ora della suacambipena è la nostra pena. Credo che non ci sia peggior ostacolo (peg-probicgior dolore) di un volto amato, sfigurato [man mano che crescevaassurdsi deformava sempre più](...). Quando adoriamo, nostro malgra- E, sdo senza enfasi, il mistero di bontà che si trova in quel suo bello Cosi sguardo perduto, che non cerca più gli oggetti e gli uomini, suc-giorncede allora che la nostra fraternità con lei si fa più viva. Subiamolo sfola prova della fede: “E ora la conoscerai in enigma e come in uno Mistei specchio”. Possa la sua durare soltanto il tempo di una crisi dello del Mspirito!” (12 novembre 1940). Ahn Quando venivano a trovarli, Mounier metteva la figlia a capota-vola. Immaginatevi l’imbarazzo di quelli che venivano per parlaredelle strategie politiche! Io ho avuto un’esperienza così solo un paio di volte, ma mi è Scojrimasto impresso.punto I primi tempi che avevo cominciato a vivere questa esperienza e michiani18Una cosa dell’altro mondo. In questo mondoci ero buttato dentro, avevo molte riserve, problemi, questioni per quel tale responsabile, per quello che diceva e non faceva. Poiché avevo un certo rapporto con Giussani, un giorno gli dissi che ero stanco di questo e quello e lui mi invitò a Milano a mangiare insieme. Vado. Alle 12.30 sono là, saluto e poi mi dice: “Invitiamo anche lui a pranzo?”. Era un matto, completamente andato! “Va bene” dico. Ci mettiamo a sedere, io guardo il matto e Giussani mi dice:“Allora, che cosa hai da lamentarti?”. E io: “Niente”.Un’altra volta, con altri che avevano tanti problemi, ha fatto la stessa cosa e tutti hanno cominciato a fare sui serio, nessuno parlava più per sé, tutte le osservazioni erano misurate, fatte con calma, senza nessun vomito lamentevole.Qui è il problema. Mounier metteva un’idiota a capotavola e a tavola con lui c’era chiunque; è questo che mi ha colpito di più leggendo queste lettere, perché quella piccola idiota era il centro della casa di Mounier e la casa di Mounier era il centro dell’intellighentia politica e culturale di allora. Quell’idiota era guardata come Cristo, c’era un’identità immediata, Fran9oise era segno di Cristo e perciò centro affettivo della compagnia tra marito e moglie e con gli amici: Cristo.Ed era questo che li faceva più compagni. Questa memoria cambia il giudizio su di sé e sui mondo, perché quella presenza problematica ricorda che o c’è il Mistero o davvero la vita è un assurdo. È, se cambia. Al posto d’onore l’idiota: Cristo in croce. Così il pranzo tra lui, la moglie e la figlia idiota diventò ogni giorno gioioso, non per io sforzo del rispetto reciproco, non per lo sforzo del galateo, ma per la consapevolezza drammatica del Mistero, reso presente da una contraddizione che, senza l’ipotesi del Mistero presente, sarebbe soltanto assurdità.Altro che idiota! È il punto rigeneratore della loro gioia!Scopriamo adesso le tre posizioni che caratterizzano questo punto di fondo che ha fatto questa grande cosa della vita e che si chiama “presenza cristiana”.19Enzo Piccinini Ci sono tre dimensioni costanti nell’affronto del dolore e del sacrificio:a. la memoria - la più grande parola cristiana che io conosca -, qualcosa che fa presente qualcosa che è successo tempo fa. In sua figlia, nella circostanza che tutti consideravano sventura, c’è l’emergere di un segno che costringe a pensare al Mistero di Cristo presente.Questa è la memoria. Che questo incominci a diventare normale tra noi, che sia segno che costringe a pensare al Mistero di Cristo presente! Non è il coraggio che me lo fa dire. E l’esigenza di una esperienza umana che si possa chiamare tale, perché nella mia vita questa è la necessità più assoluta.b. Questa memoria immediatamente si fa offerta ed è qui la grandezza. Non si può vivere una cosa ‘assurda”, nella misura incui sembra assurda, se non si può offrire.Offrire significa: capisco che c’è qualcosa che non dipende da me in questo mondo così come nella mia vita e allora anche quello che adesso non capisco posso viverlo, in attesa di capirlo.La memoria immediatamente si fa offerta, cioè partecipazione alla croce di Cristo, partecipazione all’utilità stessa della croce di Cristo per la salvezza del mondo, affinché la vita non sia più vana.Cosa c’è di alternativo a questo? Quello che mi succede tutti i giorni quando timbro il cartellino alla mattina: “Come va?”. “Taci, per carità...”. Si comincia così. Si finisce e si va a timbrare il cartellino: “Ciao, come è andata?”. “Taci, soliti guai”. Così, sempre!L’alternativa, nella misura in cui una certezza e l’abbandono non ci sono, è il lamento. Ma non è il lamento che straccia il cuore del bambino che soffre, è il lamento che ingombra il cuore e l’orecchio di chi sente, rende pesante la vita di tutti quelli che ci circondano e la nostra vita resta una condanna anche per gli altri, una vita-lamento che non conosce la letizia e, tanto meno, la gioia.20Una cosa dell’altro mondo. In questo mondoc.Ma chi imposta la vita come lamento non conosce la cosa grande che fa l’uomo grande: la tenerezza. L’uomo che si lamentanon conosce la tenerezza, ma butta sull’altro quello che ha dentroa -’come vomito. Nei rapporti manca la tenerezza, possiamo milamorarci finché vogliamo, ma manca la tenerezza; c’è un fremitot’e-che può sembrare tenerezza, ma che non lo è, e questo è dimostrato dal fatto che prima di tutto è provvisorio e poi è egoista,egocentrico. Da-La tenerezza è una sensibilità verso la gioia dell’altro e c’è soldi tanto in chi si appoggia, accetta ed è bambino di fronte a Cristo,n7come gli apostoli.ellai la5. Concludo con il quinto passaggio, dal quale deriva quella posizione cristiana che fa arrabbiare tutti, perché è una posizione rn indomabile. ideUn ecclesiastico ci diceva: “Voi siete come l’acqua: vi si mette ora qui e saltate fuori là”. Indomabilità. “Perciò fate rabbia”. Perché?L diPer questa posizione di Mounier: “Franoise è forse la nostra corona, per un disegno misterioso. Essa dà, secondo me, un sensore concreto, vicino, familiare, all’al di là: luogo nel quale ci diamodi appuntamento, nel quale saremo un’altra volta padre e madre diun essere assolutamente sconosciuto, non toccato dal male” (9marzo 1943).ri”Eterna, cioè presente, fedele, questa mattina come questa sera, anche se non le siamo fedeli, anche se non potessimo esserle fedeli in qualche parte di noi stessi, per distrazione, per imbecillità, per ebbrezza, o per sonnolenza (...) [Nella sventura siamo soio colpevoli di un’aridità disumana]. “Nulla di ciò che è grande cresce come le patate” affermava Péguy, arrotondando egregiamente,a senza volerlo, lo zero. Tutto ciò che appartiene all’ordine spirituaore le progredisce attraverso le morti e le successive resurrezioni, e  non c e più nulla che conti quando manca al cuore questo assoluto dell’amore” (Pasqua 1943).la “Bisogna che un’eruzione di lave profonde e brucianti venga afondere l’alluvione inerte dei giorni [la routine]. E questa lava si21Enzo Piccinini chiama verità. Il cuore e la verità non procedono mai in sintonia. Capita che l’odio o semplicemente l’aggressività siano terribilmente più lucidi dell’affetto, lasciato a se stesso. L’affetto è dolce e accomodante, pronto ai compromessi, all’illusione di tono mellifluo ed enfatico. Gli piace lasciarsi cullare da un chiacchiericcio intessuto di parole ingannevoli. Diventa una morte viva (...). In questo modo, credo che molti matrimoni inaridiscano lentamente, senza che ce ne si accorga (...). A questo punto occorre ritornare alla vera natura dell’affetto; essa non consiste nell’essere felici insieme, ma nell’essere più insieme. Si tratta della legge del più della crescita spirituale e della verità che fa male, del sacrificio che fa male, della lotta che fa male” (28 aprile 1943).Quando nei matrimoni uno o l’altro non piace più, è lì che accade il grande fenomeno che si chiama gratuità. La conquista umana è rapporto con l’altro, che è Altro.““Il mio regno non è di questo mondo” significa che l’armonia non è di questo mondo; l’affetto troppo armonioso, l’accordo troppo stabile, la dolcezza troppo sistematica, l’ottimismo troppo conciliante sono parzialmente frutto della menzogna” (28 aprile 1943).Concludendo, allora: “Miei piccoli fratelli feriti, sapete che io credo che Olivier è vivo, più vivo che mai. Poco importa che voi lo crediate o no, o piuttosto poco importa che voi lo diciate o non lo diciate a voi stessi, con parole chiare, che lo crediate. Lasciategli aperta non soltanto la parola del ricordo, ma anche quella della presenza e della speranza. Riservate nel vostro cuore un rifugio, un posto caldo, per Olivier; e così lo ritroverete con parole che non avrebbe mai dette, di cui né io, né voi sapremo completamente il senso” (ottobre 1948).Allora che cosa vien fuori di fronte alla morte di un amico, di fronte alla guerra per cui sarà messo in prigione? Questa indomabilità cristiana, per cui si capisce di cosa è fatto il cristianesimo e perché ci odiano. Ci odiano per una baldanza, per una indomabilità che è il contrario della spavalderia di chi fa conto sulla sua forza, sulla sua capacità.La baldanza e l’indomabilità cristiane ci sono perché tutto ci è dato, poteva non esserci niente, e allora di cosa abbiamo paura? E questa la libertà cristiana: non avere più paura di sbagliare.22                        Una cosa dell’altro mondo. In questo mondoua. Tutto ci è stato dato. Di fronte alla guerra, di fronte alla morte,il-di amici in situazioni incredibili, di fronte alle disgrazie, di fronteJcealla bellezza di certe compagnie, di fronte al fatto che due si spoielsano, il problema è uno solo: che la verità, nella carne di tutti igiorni, smetta di cristallizzarsi in dottrina, ma, attraverso il lavoro di tutti i giorni, generi quell’uomo che spera nella presenza infinita del Mistero, per cui tutto gli è dato istante per istante; eor’lici rispondendo a quel Mistero vince l’inclinazione ad avere un rapiù porto con la realtà dipendente solo da quello che sente lui e he misura lui. Così nasce l’indomabilità. Si cadrà mille volte, ma mille volte sihe riprenderà. Questo è il cristiano. In questo senso, allora, è bellostapoterci dire l’ultima cosa. Ilsacrificio, per essere accettato, ha bisogno che noi abbiamo un punto sicuro, ma non si può essere sicuri del sacrificio: si e sicuri di Cristo! Se sei sicuro di Cristo, la questione è semplice: se credi, avrai il centuplo. È la Sua sfida.Di fronte al sacrificio - non importa pensare ai grandi sacrifici,ioperché è sacrificio alzarsi dal letto quando non vorresti, dover farequello che non vorresti, accettare il mal di pancia che non vorresti - l’unica risorsa che hai è percepire il tuo sacrificio come partedi Cristo che sale in croce e che muore per il mondo.te.Il tuo sacrificio vale per il dolore di tutti gli uomini, allevia il.hedolore di tutti gli uomini; magari c e una persona che sta soffrenredo in Giappone e quella persona alla fine del mondo ti dirà graOfl zie. Il tuo sacrificio in quel momento ha aiutato lei.noNessun nostro gesto che non implichi il mondo intero (il tourde force dell’Infinito) è vero. Per questo ci si alza ogni mattina:per aiutare Cristo a salvare il mondo, con la forza che abbiamo, con la luce che possediamo, chiedendo a Cristo che ci dia piùbi-luce e più forza. E tutto.