ENZO PICCININI
La generazione, un atto presente
Il 22 marzo 1998 Enzo era stato invitato al ritiro di Pasqua del movimento in Argentina. Durante la conversazione aveva parlato anche della sua responsabilità in CL
Da tre anni a questa parte Giussani ha cambiato la struttura del movimento. Ha istituito una figura che nel Gruppo adulto esisteva già da molto tempo: la figura del visitor. Ma non un visitor come quello della "Invasione degli extraterrestri" che hanno trasmesso alla televisione. Dato che don Giussani non può visitare tutti i Paesi dove è presente il movimento, ha scelto alcune persone che gli sono molto vicine, e che dovunque vanno, fanno quello che farebbe lui.
E un impegno abbastanza pesante per quelli che lo devono fare. Io sono uno di questi visitor. L'Italia è divisa in tre, così ci sono tre visitor per tutta l'Italia. Io cerco di seguire, e spero che Dio me ne doni la forza, più di 20.000 persone. È un compito enorme. Per l'intensità che ha il movimento è un compito enorme. È già difficile sostenere una comunità come questa: figuriamoci allora!
Ho chiesto a don Giussani cosa voleva dire visitor, perché non lo sapevo, e gli ho detto anche: "Se sono un visitor devo parlare sempre con te". Però... vedevo che tutti potevano parlare con lui ma io non ci riuscivo mai. Così gli ho chiesto: "Ma che visitor sono?". Vedere don Giussani è qualcosa di molto speciale, perché lui fa il movimento sul serio, non come noi.
Quando ero più giovane gli facevo spesso da autista, perché a lui piaceva come guidavo. Così un giorno mi disse: "Mi faresti ancora da autista?". Un lunedì che non dovevo andare in sala operatoria saltai in macchina e andai a prendere don Giussani, scoprendo così che anche lui faceva il visitor. Lo faceva in tre case del Gruppo adulto. Fu una cosa straordinaria. Quando arrivammo alla prima casa di donne del Gruppo adulto, suonò il campanello e quando gli aprirono disse: "Scusatemi, sono don Giussani, non vorrei disturbare, il nostro incontro doveva essere mercoledì, ma volevo chiedervi se era possibile farlo oggi. Vi chiedo scusa, mi spiace turbare il ritmo della casa". Pensavo che se fosse venuto a casa mia gli avrei aperto tutte le porte, se venisse a casa mia gli direi: "Vieni quando vuoi!". Ma lui faceva così. Più tardi, quando cominciò la riunione, era una cosa straordinaria sentirlo parlare. Conosceva tutte le ragazze, una per una, e chiedeva: "Come sta tuo papà? Prende le medicine?". È solo un esempio. C'era tra loro un legame, un affetto per me sconosciuto. Così visitammo le tre case, tutte nello stesso modo. La notte, mentre tornavamo a casa sua, Giussani mi chiese: "Hai capito?"; gli risposi: "Sto cominciando a capire". Si può "fare il visitor", ma in fondo il visitor è "essere del movimento", amare tutto e fare tutto con quell'appartenenza nel cuore e nella mente, con quella capacità di legame che si chiama paternità.
Il problema del visitor è fare che ogni rapporto sia mantenuto come una ferita aperta: si chiama conversione. Anche in famiglia è necessario che uno sia visitor, nel luogo di lavoro, il ragazzo con la sua ragazza devono essere visitor. E necessario tener via questa ferita che si chiama conversione. E così che nasce il movimento per noi, cioè dei rapporti nuovi. Questo è il problema. È così che il movimento continua a essere una novità, una intensità di esperienza che elimina di colpo tutte le divisioni. Il gruppo di qua, quell'altro di là: cosa importa! Il problema è la mia conversione e aiutarci perché avvenga. Questo nel tempo produce frutti straordinari.
Prima di tutto perché saremo capaci di collaborare di più per far sì che questa società diventi più umana. Ma per questo ci vuole pazienza... Come dicevo prima, volevo sempre parlare con don Giussani e lui non mi riceveva mai. Parlava con tutti meno che con me. Io gli dicevo: "Sai, non mi par giusto parlare di certe cose davanti a tutti", vale a dire durante il Consiglio di Presidenza (in questo consiglio si riuniscono i responsabili ultimi, una volta alla settimana, per affrontare tutti i problemi del movimento). Un giorno durante questa riunione, don Giussani appena entrato cominciò così: "Qui c'è qualcuno che non si fida di noi". Allora pensai: "Sarò forse io?". Quando Giussani arriva al punto della correzione marca male! E continuò: "... chi non si fida non solo ha bisogno che sia tutto a posto per parlare, ma vuole parlare solo con me, non desidera di farlo con tutti noi". In quel momento capii.
Non si tratta di essere o non essere sinceri, è un problema di comunione. Che razza di unità c'è tra noi se non riusciamo a essere sinceri sulle cose che amiamo. Quando finì la riunione mi accostai a don Giussani e gli dissi: "Ho capito, adesso ho capito". E lui mi rispose (e queste parole non le dimenticherò mai, perché mi commossero): "Adesso, quando vuoi, vieni e parliamo".