ENZO PICCININI

Il cristianesimo è per la felicità dell'uomo
da Tracce N. 5 maggio 2004 www.tracce.it Il fatto cristiano ridotto a regole morali. Questo è il dramma di oggi. Che Dio si sia incarnato ha bisogno di una verifica: si deve vedere. Una presenza che determina il rapporto con tutta la vita. La sfida della Chiesa. Una testimonianza di Enzo
Il 14 maggio 1999, pochi giorni prima di morire in un incidente stradale (26 maggio), Enzo Piccinini fu invitato dall’Arcivescovo di Ferrara, monsignor Carlo Caffarra, a tenere la conferenza conclusiva di un ciclo di incontri proposti ai giovani della città emiliana. Gli era stato affidato il tema “Vivere la Chiesa: cultura, carità, missione”. Degli appunti di quella testimonianza proponiamo ampi stralci. Perché i particolari sono importanti per la memoria
La posizione cristiana è la posizione umana nel senso vero del termine; all’infuori del cristianesimo l’umano non è compiuto. L’esperienza cristiana è l’esperienza umana e la Chiesa è maestra di umanità. Questo è il tema di questa sera, proprio attraverso le cose solite, quelle che sembrano relegate alle sacrestie o a chi ha qualche problema religioso in più.
Quello di cui parlo è per la vita di tutti gli uomini, di ogni uomo, proprio perché l’esperienza umana esige, per essere se stessa, la proposta cristiana.
Cristo è tutto per la vita dell’uomo. Tutto. Non ci può essere niente nella vita di un uomo, che ami fino in fondo e con lealtà la propria umanità, che possa esimersi dal rapporto con Cristo, perché è il cuore della vita di ogni uomo.
Non starei nell’esperienza cristiana, se non fosse per questo. Mi ribellerei anche solo al pensiero che essere cristiani significhi essere (come tanti pensano) uomini un po’ meno degli altri e con qualche problema in più. Se ho scelto di stare nell’esperienza cristiana, è perché qui trovo tutto me stesso, quello che ho sempre cercato.
Ma allora che Cristo sia tutto per la vita e per il cuore dell’uomo, deve per forza coincidere con quello che il Signore ha detto nel Deuteronomio: «È per la felicità dell’uomo».
Per questa parola, che segna la vita di ciascuno di noi - ci alziamo al mattino per essere felici, abbiamo fatto tutto per essere felici, continueremo a farlo fino all’ultimo respiro -, proprio per questa felicità Cristo si pone come risposta all’uomo: per la felicità di ciascuno di noi.

COSA C’ENTRA CON LA VITA?
Guardiamoci intorno: io guardo, per esempio, la mia vita, i miei colleghi, l’ambiente universitario, gli studenti, ecc. La cosa che mi sorprende è che la maggior parte della gente è battezzata (e il Battesimo è il punto di introduzione all’esperienza cristiana). Ma Cristo dov’è? Se domandate: «Ma scusa, se sei battezzato e sei dentro la tradizione cristiana, cosa c’entra tutto questo con quello che fai?», ti guardano come se stessi dicendo un’enorme stranezza. E se tu ti mettessi di fronte ai ragazzi e dicessi loro: «Credi in Dio?», raramente troveresti uno che direbbe di sì con quella naturalezza con cui si aderisce a una realtà vera.
Come mai? Vi invito a fare un esperimento: prendete dei bambini che non hanno mai sentito parlare di Cristo e parlategli di Cristo. Se a questi stessi bambini diceste che venendo a casa avete visto, nella curva vicino a casa vostra, il condomino che ha tirato fuori lunghe mani e con queste ha pulito i vetri e sistemato i comignoli, vi guarderebbero ridendo, chiedendovi quando finisce la favola. Raccontare loro di Cristo non è meno “strano”, però non si ribellano. Perché? Perché corrisponde, naturalmente.
Ma, allora, che cosa è successo? Come mai i fatti e gli episodi, che descrivono e introducono all’esperienza cristiana in quanto tale, non c’entrano più? Io credo sia perché il cristianesimo non è più un avvenimento. Il cristianesimo o è un avvenimento o non ha incidenza nella vita. Che cos’è il cristianesimo? Una serie di riti a cui partecipare, una serie di regole morali, un modo, un certo comportamento a cui richiamarci, è questo? Se è questo, perdiamo la battaglia, perché tanti altri dicono meglio o sembrano fare meglio (soprattutto se hanno il potere). Allora è qualcosa d’altro, evidentemente qualcosa d’altro, perché nella misura in cui è ridotto a riti, regole, modi di fare, galateo, doveri, partecipazioni, non incide più. Il cristianesimo è un avvenimento: qualcosa di imprevisto e di imprevedibile, di impensabile e inimmaginabile che è successo 2000 anni fa: il Mistero, ciò che fa tutto, improvvisamente viene incontro all’uomo e diventa un’esperienza possibile.

SI DEVE VEDERE
Ma se Dio che è diventato Cristo - incontro, esperienza possibile per l’uomo del Mistero e risposta alla vita -, si deve vedere, non può restare una serie di intenzioni, di qualcuno intensamente pensieroso che va in convento o di qualcuno che ha avuto una triste gioventù. Si deve vedere nell’operaio della Fiat, nel grande intellettuale, nello spazzino, in chi è malmesso psicologicamente e in chi è protagonista dello sport nostrano. C’è una verifica: si deve vedere.
Ecco allora qual è il problema: si deve poter vedere e bisogna provare a capire dov’è che davvero si vede. Come il fatto cristiano (cioè un avvenimento che ci sorprende) determina un cambiamento nell’uomo, per cui l’uomo è veramente uomo, è l’umanità che ha desiderato di essere?
Occorrono due cose perché la verifica sia vera:
l) un impegno educativo totalizzante con la proposta che è Cristo. È la Chiesa, questa unità ed esperienza di appartenenza, di amicizia. Una vita globalmente impegnata rispetto alla proposta che è Cristo;
2) stare alla proposta nei termini della proposta stessa. Nel rapporto con un oggetto deve essere l’oggetto a determinare il metodo del rapporto. Se io avessi una bottiglia di vino Tocai bianco del Friuli (il migliore vino del mondo), svitassi la bottiglia, mettessi il dito dentro, lo tirassi fuori e poi dicessi: «Sentite, è secco!», voi direste che sono impazzito. Ho “sentito” il vino, solo che ho scelto io il metodo, perciò ho alterato il rapporto. Il vino va bevuto perché le papille gustative non sono nel dito. Questa è una verità fondamentale che vale nella mia ricerca e nel mio lavoro: e perché non deve essere vera anche con Cristo? Se è una presenza (come è una presenza), se è un fatto (come è un fatto), se è un avvenimento (come è un avvenimento) che ha sorpreso tutti e continua a sorprendere tutti, allora è Lui che dice come ci si rapporta con lui, non noi. E Lui l’ha detto: è una realtà di uomini scelti da Lui, che si coinvolgono insieme, che Lo rende presente. Non le nostre strade tortuose; ma un’adesione alla realtà. Allora si tratta di stare al metodo che Cristo ha posto nel mondo.

CULTURA, CARITÀ, MISSIONE
Che cosa determinano queste due condizioni? «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù». Questa è la promessa di Cristo. Dice: «Chi mi segue». Cristo parte sempre da un aspetto affettivo, perché se c’è un delitto nella vita cristiana, è pensare che basti osservare i dieci comandamenti per andare in Paradiso. Invece Cristo ha detto: «Chi mi ama osserverà la mia legge», non viceversa. C’è un aspetto di affezione da scoprire, altrimenti è un disastro, perché la meccanicità non ha mai compreso l’uomo e non lo comprenderà mai. È la sorpresa di una affezione per cui si sente che tutto quello che viene da lì lo si vuole per sé.
E come viene descritta questa promessa? Da tre dimensioni che misurano l’esperienza cristiana: cultura, carità, missione. Proviamo a scorgerle.
1.Cultura. Se Cristo è un fatto e una presenza, allora è una presenza che determina il rapporto con tutto; da cui una coscienza critica e sistematica della propria esperienza umana, che si traduce in una manipolazione diversa delle cose, in un uso diverso di sé. Pensate a quando eravamo bambini e si faceva qualcosa di nascosto: improvvisamente compariva il padre o la madre e uno si accorgeva subito di quello che faceva. È una presenza che determina una coscienza nuova di sé.
2. Carità. Viene in mente di tutto: l’elemosina, fare i bravi, e invece no! La carità è la presenza di Cristo e perciò è imitare Lui. Lui è la risposta alla vita. La carità viene dal greco charis: gratis, gratuità. È la forma suprema dell’espressione amorosa, perché implica l’assenza del tornaconto, del calcolo: gratis.
3. Missione: è come il calore che un corpo vivo non può non emanare. Non è mai un’iniziativa, ma è la modalità di vita che nasce da come tu stai cambiando adesso, per quello che ti sta succedendo.

COSA FAI PER IL VIETNAM?
Quando mi sono convertito, all’inizio, c’erano vari problemi, perché i miei amici di prima (che erano piuttosto tenaci e duri, era il periodo della guerra in Vietnam) mi perseguitavano. E il tono era questo: «Ti sei fatto il tuo angolino, eh? Vai anche a pregare. Cosa fai per il Vietnam? Non ti rimorde la coscienza?». Ero un po’ ricattato, non riuscivo a capire. Una volta c’era stata una manifestazione, uscivo dalla mensa universitaria, mi hanno circondato e hanno incominciato un’invettiva durissima. Vedevano che ero debole proprio nelle ragioni. Io stavo malissimo, non riuscivo a rispondere; a un certo punto mi è venuta l’idea e ho detto loro: «Io per il Vietnam costruisco la Chiesa, qui». Non lo scorderò più: questa è la verità della questione. Oggi quando mi vedono si vergognano, perché fanno tutti i mestieri che non volevano fare e il loro “sinistrismo” è rimasto nei viaggi in Oriente, nel verdismo o nel fare i sub e scambiarsi le foto o nel portare il cane a passeggio. Questo è quello che è rimasto. Io, invece, sono ancora sulla breccia! Qualche volta dico a qualcuno di loro: «Che cosa fai per il Vietnam?». C’è un pezzo fantastico dei Cori da «La Rocca» di Eliot: «Senza tempio non ci sono dimore»: senza la presenza del Mistero che ci ama, non c’è posto per l’umanità. Per questo bisogna costruire la Chiesa.

COSTRUIRE LA CHIESA
Un’autentica dimensione religiosa, questa salva l’uomo. Di questi tempi, brutti o buoni, vogliamo costruire la Chiesa dove siamo, perché questa è l’umanità vera, edificare la comunità cristiana dovunque. Ma come avviene? Noi edifichiamo la Chiesa attraverso la nostra presenza: essere presenza, questa è la nostra ultima, decisiva indicazione e categoria. Essere presenza, qualunque temperamento uno abbia; non importa le doti di cui uno dispone, occorre la fede e basta. Presenza vuol dire il modo di essere dentro la situazione, perché non si vive per aria, ma dentro il rapporto con la propria ragazza, i genitori, gli amici, il lavoro, lo studio universitario, dentro il momento culturale e politico... dentro a tutto. Essere presenza in una situazione vuol dire esserci in modo da perturbarla, se no non si è presenza. Cristo è venuto nel mondo sconvolgendo il ventre di una donna, sconvolgendo un grandissimo uomo che si chiama Giuseppe e mettendo in crisi i grandi legulei di Israele (non ha chiesto: «Permesso?»). Si è posto per quello che era. Essere presenza in una situazione vuol dire esserci in modo da perturbarla, così che se tu non ci fossi, tutti se ne accorgerebbero, perché sarebbe diverso; non perché fai grandi cose, ma perché sei te stesso. Essere presenza vuol dire essere dentro una situazione prendendo Cristo come avvenimento della nostra persona. Non si tratta di fare discorsi (lascia il tempo che trova): il vero annuncio lo facciamo attraverso quel che Cristo ha perturbato nella nostra vita. È una baldanza umile e certa; è un paradosso: umile e certa, cioè non fondata su di sé, ma sulla grazia che ci è stata fatta di una presenza che non verrà mai meno («Io sarò con voi fino alla fine del mondo»). Una baldanza, una certezza per il futuro. .