ENZO PICCININI
DOMANDA:
Mentre parlavi, rispetto alle cose che avevo preparato, sentivo la suggestione, il fascino che sempre, quando facciamo un gesto nel Movimento, mi ri-spalanca una prospettiva di apertura di positività per quanto riguarda la vita. È l'esperienza che si fa quando si legge Giussani o gli Esercizi; è il grande senso di apertura rispetto al reale, di pacificazione che è quella frase con la quale il Papa ha aperto il suo Pontificato. "Aprite le porte a Cristo!", mettete tutti i disagi, gli affanni, tutto quello che siete in mano a Lui, affidatelo a Lui. Rispetto a questo volevo porre un problema sul quale volevo intervenire.
Giussani, più di una volta, ha detto che c'è una distanza tra quello che lui dice, tra quello che è il suo giudizio sulla realtà, tra il suo modo di sentire, tra la sua mentalità e la nostra.
Ne è la riprova il fatto che sentendo quello che tu dici si avverte uno scossone. Ciò vuol dire che non c'è connaturale questa posizione, ma è come se noi avessimo paura di questo, cioè il manifestarsi di questa distanza, anziché prenderla sul serio, anziché essere l'oggetto di un lavoro, tentiamo di censurarla o esorcizzarla.
Mi spiego: a volte ho l'impressione che prendiamo i giudizi di Giussani come cose confezionate, inscatolate da ripetere come se fossero dei principi che non mettono in evidenza questa distanza che c'è rispetto a una mentalità in cui noi siamo immersi. Tanto più siamo impegnati con la realtà, tanto più non possiamo non subirne il fascino o non esserne condizionati. Allora, o questo disagio cerchiamo di respingerlo aderendo in modo acritico a seconda dei temperamenti e uno si butta in questo modo prendendo tutto per buono, oppure rispetto al disagio, rimane come un'obiezione del proprio cuore, per cui uno ci sta con una riserva.
Secondo me, è come se mancasse un luogo in cui con libertà, uno possa imparare questo lavoro di appropriarsi dei giudizi, cioè che i giudizi nascono da un'esperienza. Quello che dice Giussani, è la descrizione di un'esperienza. Noi dobbiamo ritornare ad appartenere ad un luogo così.
Voglio dire: c'è certamente una tensione personale in tanti di noi che si esprime anche nel fatto che molti di noi sono impegnati professionalmente a livello pubblico con una tensione che ha a che fare con questo incontro che abbiamo fatto con il Movimento,: Però è come se, paradossalmente, fra di noi non avessimo questo stesso impeto, cioè rimanesse una intenzione di ciascuno che non genera un luogo con questa stessa intensità di rapporti, soprattutto di attenzione. Questo non riesco a dirlo meglio di così.
Un'altra cosa è che hai come paura del limite; al sorgere del limite è come se lo si volesse censurare, mentre siamo molto bravi a giudicare il limite quando insorge negli altri. È come se, parlandone o dicendolo o accusandolo si potesse in qualche modo esorcizzarlo o eliminarlo. E anche qui è la stessa cosa, secondo me: manca un luogo in cui il limite è accolto, perché è un Altro che lo ha accolto e lo ha perdonato. Cioè, manca questa stabilità di rapporti, di una affezione, di una esperienza in cui uno ci sia dentro anche con la distanza, con la mentalità che porta in sé; e ci sta dentro con i limiti che ha. Dicevo questo perché è un problema e volevo che ci aiutassimo a capire di più perché succede questo e come affrontarlo.
Dico anche un'ultima cosa:, con molto pudore perché è una cosa appena iniziale. Questa stessa considerazione che faccio è nata proprio da un modo di affrontare un disagio. Di fronte alle cose che dicevo, per esempio, di fronte al Referendum che qui abbiamo affrontato all'ultimo momento e, comunque vale sempre quello che dice Cesana, cioè che ci svegliamo sempre troppo tardi ed il Movimento ha già detto quello che c'era da dire, resta il fatto che io ero in una posizione esattamente opposta. Questo disagio, o altri che ci sono stati in incontri fatti tra noi, l'ho condiviso con qualcuno e abbiamo iniziato a lavorarci insieme facendo Scuola di Comunità e aiutandoci, per esempio, che quello di oggi fosse un gesto di mettesse in gioco.
PICCININI:
Provo a entrare dentro a tutte le osservazioni che lui ha fatto, sinteticamente, per quello che ho capito, perché, per carità è un momento assembleare per cui lui ha il diritto di ripetere l'intervento, se crede che le cose non siano chiare, magari chiarendo a noi.
Ci sono tre cose sul problema che lui ha esposto in varie maniere. Il problema è questo: da dove origina questo disagio che lui dice? Cosa vuol dire che è a disagio e perché è a disagio? A disagio la parola lo dice, è la propria umanità che non è a suo agio. Chiaro? Questo va da sé. Allora cosa deve succedere quando si è a disagio e cos'è che veramente può cambiare le carte in tavola rispetto a questa sensazione non solo fastidiosa, ma brutta, di disagio. Che cosa? Un ragionamento, un impegno morale personale? Andiamo! Quante volte ci avete provato a mettere a posto le cose, quante volte ci avete provato nel disagio che avete con i figli, con il marito, sul lavoro, quante volte ci avete provato a mettere a posto le cose? Quante volte ci siete riusciti? MAI! MAI!
Allora qual è il problema? A questo disagio cosa deve esserci come risposta, visto che è un disagio, che poi dettaglierò, secondo me praticamente inevitabile , secondo un certo punto di vista. Che cosa deve succedere? È solo qualcosa che accade fuori da ogni aspettativa e impossibilità di immaginazione che irrompe nella vita che può dare una prospettiva diversa, solo questo. C'è uno shock , è uno shock che cambia la vita. Come tante volte ci siamo detti da un anno e mezzo a questa parte, è uno shock che cambia la vita: qualcosa che accade e non era previsto. È questo che cambia la vita perché impone qualcosa che non entra negli schemi soliti, non entra nelle misure solite, non è riducibile a un qualunque ragionamento e si impone nella propria vita come un qualcosa di inaspettato ma che nello stesso tempo è qualcosa che è evidentemente vero, corrispondente perché è vero, MA È VERO.
Questo disagio, siccome questo Avvenimento è successo, (siamo qui per questo), questo shock è successo, allora perché c'è questo disagio? È successo in maniera più o meno chiara, ma è successo, se no non saremmo qui. Uno può essere venuto per curiosità, ma è lo stesso shock che è per me che sono nel Movimento da tanti anni e sono responsabile del Movimento. In un certo modo la stessa cosa di uno che è venuto la prima volta e per caso, è sempre lo stesso shock. È sempre qualcosa che irrompe nella vita di imprevisto, imprevedibile, di irriducibile a te. Ed è l'unica cosa che cambia le carte in tavola. Ma allora, se sono qui per questo, perché c'è ancora disagio? Perché il vero, quando succede nella vita, esige un cambiamento, esige che si metta a tema della vita un cambiamento.
È questo che non vogliamo accettare. Sapete cosa vuol dire mettere a tema della vita un cambiamento? Significa mettere a tema della vita che quello che penso io è sempre da correggere: Ci state o no a questo? Se non ci state è inevitabile il disagio. Siete fuori posto, siete qui ma non siete qui, non ci siete pienamente. Questo è impressionante a pensarci. Quel che è successo nella nostra vita, proprio perché inaspettato, imprevedibile, non è nemmeno per un istante riducibile ai miei ragionamenti (ma quello che è successo a me, se penso al mio passato, al mio presente, è incredibile!). Cosa vuol dire questo?
Che bisogna mettere a tema questo vero. Mettere a tema questo vero significa che la normalità della vita per noi è il cambiamento, non è l'affermazione di quello che pensi. Se non ci state su questo è inutile tentare di mettere a posto il disagio. Ma è una cosa fondamentale, se no io non ne parlo nemmeno più. Cosa volete, che ve l'aggiusti? Ma non si può aggiustare questa cosa qui.
È un'altra cosa che è successa nella vita, abbracciando la quale cambiano tutte le dimensioni, ma va abbracciata e il modo di abbracciarla è ospitarla e ospitarla significa che non c'è più niente che è a posto secondo le tue misure. C'è un'altra cosa. E siccome noi abbiamo paura di questo terremoto che intuiamo, stiamo abbarbicati alle cose solite, poi c'è l'eco della cosa vera ed è un disastro. Sei a disagio? Mi meraviglierei se fossi a posto.
Questa è stata tutta l'esperienza della Chiesa per cui adesso è quella che è, (perché l'esperienza della Chiesa che ora è quella che e fa fatica a prendere posizione in qualunque momento è esattamente per questo), perché alla fine tutto è stato ridotto a un certo comportamento, a certi valori, a un certo tipo di rito o liturgia. Invece è qualcosa che è successo e ha cambiato i connotati delle cose, perciò quando succede, e succede istante per istante, cambia i connotati; cioè quello che io penso di me non è più quello che penso di me, c'è un'altra cosa che è la verità di me, ed è quello che è successo. Allora uno dice che è stufo (per farvi degli esempi. Mi guardate come dicessi cose strane, ma stiamo scherzando? Ma è assurdo, è l'elementarietà del Fatto Cristiano questa! Immaginiamoci se alla domenica pomeriggio io sarei qui se non fosse successo quello che è successo. Ma andiamo!)
Cambia i connotati, capite! Cambia cosa valgono le cose, cambia il valore delle cose, cambia cosa vuol dire accarezzare il bambino, cambia cosa vuol dire ti voglio bene, cambia il valore delle cose, hanno un altro valore.
Se succede questo, la cosa ha una chance, altrimenti non ce l'ha.
Allora, prima osservazione: il problema del disagio non lo si può evitare, da un certo punto di vista, perché è come quando uno passa dalla maturità all'università, oppure passa al primo lavoro, oppure si sposa, cioè succede qualcosa nella vita di inaspettato, di impossibile da prevedere, si deve rapportare con un'altra realtà, è a disagio. È a disagio perché quello che succede chiede un cambiamento. Chissà perché? Perché non puoi più stare attaccato alle cose solite. O stai attaccato a quelle cose lì, oppure cosa vuoi fare? Aggiustare non l'aggiusti. Cambia la vita, vuol dire, per capire, che per esempio sono stanco, non ne posso più, le cose non vanno bene, sono anche malato, sono confuso e mi vergogno di quel che ho fatto, tutti aspetti che possono raggruppare tutti quelli che sono qui, io compreso. Allora il problema è se continuiamo a guardare questa valutazione o guardiamo quello che è successo.
Decidete. Perché non bisogna guardare sé, guardare sé coincide con il guardare a quello che è successo, altrimenti è impossibile, dopo il disagio è enorme, le crepe si allargano, gli aggiustamenti non stanno più in piedi, è un aspetto "pastrocciato", una cosa che fa schifo.
Fin qui, fin lì, avete presente il Cristianesimo fin qui fin lì? Ce lo insegnavano anche a catechismo: fin lì è peccato, dopo lì non è peccato. Stai dentro a una roba così! Se arrivi all'Elevazione la Messa vale, altrimenti no. Ma su, andiamo! Fai così con le persone che ami? Fin qui fin lì. Riesco a darvi l'idea o no?
Quel disagio lì è solo per una questione: che quel che ci è successo è una cosa grande e dirompente e chiede il cambiamento di tutto. Cambia il nome che si danno alle cose, la consistenza non è più quella; è un 'altra cosa. Il Cristianesimo ha posto nel mondo un Fatto nuovo, non ha aggiustato il precedente, così la nostra vita, quel che sta succedendo stasera, è una cosa nuova , che non sai nemmeno tu e, se l'abbracci, comincia una dimensione nuova e più l'abbracci più ti accorgerai che la tua umanità si espande, diventa grande, possibilità di resistere a tutte le questioni. Più tu lo controlli, più è un disastro, alla fine lo rifiuti anche.
È un soprammobile ingombrante il Movimento, che è Cristo. Un soprammobile ingombrante che dopo un po' sai…..
Allora, prima questione è quella lì. Però guardate: c'è una consolazione, perché così capisco è come un cazzotto nello stomaco, però c'è una consolazione.
C'è una consolazione ed è che quello che abbiamo incontrato non è una certa proposta fine a se stessa, una verità astratta, ma, l'abbiamo sempre detto, è una strada, è un metodo, è un cammino. È una storia di gente, di volti, di fatti, ci possono star tutti dentro. È una storia, non c'è il test attitudinale in base al quale entri e poi ci stai dentro, è una storia dove ci stanno tutti. Questa è la consolazione. Anche l'esperienza di questo cambiamento nuovo è una storia con cui stare; allora se questa è la prima osservazione, immediatamente ce n'è un'altra. (Però intendiamoci per sempre, altrimenti dopo diventa una storia…Bisognerebbe che questi punti rimanessero fissi… Dopo si può sbagliare cento volte. Scusatemi.)
Quel luogo, che lui giustamente chiede, in cui questa esperienza di quel che ci è successo deve succedere come rapporti nuovi, C'È. C'È. Cosa vuoi cercare? C'È. Perché sono qui' Cosa me ne viene in tasca, anzi me ne esce! C'è la storia di questo Avvenimento che ci ha preso e per questo siamo qui: si chiama Movimento. C'È. Ma siccome, il vero, imponendosi come tale, può anche avere una faccia non piacevole, perché Cristo, nella vita, ha sempre avuto una faccia piacevole? Chi l'avesse visto mentre rovesciava i tavoli nel Tempio e l'avesse visto solo in quel momento, cosa avrebbe detto, se non che era un violento?
È chiaro il concetto? Può avere una faccia non piacevole il vero, ma resta vero. Perché quello che noi chiamiamo vero è una storia, è un Fatto e non può essere circoscritto alla valutazione particolare, a uno stato d'animo che tu hai. Per fortuna di cose! E se quella cosa che tu cerchi non è lì, è là, ma c'è, perché è per certo che il Movimento non è solo a Ravenna, non è solo a Bagnacavallo, per fortuna nostra. Ma c'è quel luogo.
Allora ci vuole la tua iniziativa, amico mio, perché un adulto, se è un adulto, se c'è un punto di riferimento ( e c'è!) dal Papa in giù, se vogliamo essere obiettivi e togliere ogni questione, sentirsi da soli è sbagliato. Se c'è un punto di riferimento (e c'è), sentirsi soli è un delitto per un adulto. È impossibile! Non ha senso, è una forzatura.
Allora, e concludo: è solo così che l'esperienza del limite ( di cui si fa esperienza perché chi può dire che non sbaglia mai?) è vinta, non eliminata ma vinta. Altrimenti troppe cose devono essere valutate prima di cominciare.
Va bene per un qualcosa che è successo nella tua vita e per cui siamo qui questa sera, fosse la prima volta, fosse venti volte, fosse duemila volte che ci sei. È un FATTO che è successo e si impone in una maniera tale che lo ospiti o lo fai fuori. Siccome, però è un Fatto che richiede una risposta totalizzante, ti mette a disagio, per forza di cose, perché non lo aggiusti; non lo aggiusti, come sua portata normale cambia i connotati delle cose, non sono più come prima.
Seconda cosa: questa cosa qui, normalmente, si evidenzia come storia. Allora ragazzi, basta, la storia c'è e un adulto che è un adulto, se c'è un punto di riferimento, e c'è ( e se non c'è qui, sarà là),perché è una storia, se si sente da solo forza lui la mano o non vuol sentirsi adulto, cioè uno che si prende una responsabilità e comincia lui e non si aspetta niente da nessuno, ha già avuto tutto.
Terza questione: solo così il limite non ti ricatta perché è vinto non dal fatto che tu riesci a controllarlo, ma dal fatto che è abbracciato, fin dall'inizio, da un Fatto, da un Avvenimento, da una storia che ti dice che non bisogna essere all'altezza per esserci dentro. Non bisogna essere all'altezza, capite, perché io dovrei andare via adesso se dovessi essere all'altezza, non sto scherzando