UNA AMICIZIA ETERNA

Venticinque anni di storia insieme. Seguendo don Giussani e condividendo tutto dell'esistenza. "I pesi della vita erano molti, ma lui era sempre davanti, mai dietro a spingere" di Giancarlo Cesana Enzo. L'ho incontrato per la prima volta più di 25 anni fa. Non mi ricordo quel che mi ha detto. Mi ricordo però il tono. Io ero già uno dei responsabili di Cl in università a livello nazionale, lui era il capo della nascente comunità universitaria di Modena. Aveva le sue idee, non chiedeva consigli, suggeriva come si dovesse fare. L'ho presente come se fosse oggi, era un tipo tosto. Poi non l'ho più visto: probabilmente era preso dalle mille iniziative della comunità di Reggio Emilia (ed eran veramente mille). Lo rividi qualche anno dopo. Io ero stato invitato a Bologna. Lì c'era una delle più grandi comunità universitarie di Comunione e Liberazione. Erano un po' bloccati dalle problematiche culturali, nel senso di un enorme complesso di inferiorità nei confronti della modernità, marxista in particolare. Non avevo una grande audience. Per cui, ricordandomi di quel tipo tosto, che, avevo saputo, aveva cominciato a lavorare a Bologna, lo rintracciai e lo invitai a partecipare al gruppo dei responsabili. Lui resistette un poco. I Cattolici popolari, quelli di Cl e altri, impegnati nella politica universitaria, gli avevano fatto un volantino contro per una questione di esami di chirurgia. Lui mi raccontò che li aveva arringati in pubblico e che faceva molta fatica a partecipare alla diaconia universitaria di Cl. Però venne. Si sedeva sempre in fondo. Alla fine di assemblee piuttosto ottuse io gli chiedevo di intervenire. Valorizzavo quel che diceva e concludevo, senza alcun successo. Uscivamo insieme, fino all'ultimo bar di Strada Maggiore, dove bevevamo qualcosa, poi ci avviavamo, ricordo la nebbia, io verso Milano, lui a Modena o Reggio, dove la notte era appena cominciata. Nessuno ci invitava a cena, e per immaturità e perché evidentemente non era il caso. Lui aveva una Peugeot Diesel, la più bassa di cilindrata e la più economica, con cui già macinava i milioni di chilometri che avrebbe compiuto in seguito.
Poi improvvisamente scoppiò l'amicizia, per l'intervento della Giandomenica di Ravenna e per la cena nell'appartamento della Elena Ugolini. Io proposi di passare la mano: che il responsabile della comunità universitaria di Bologna fosse Enzo Piccinini. Don Giussani accettò di buon grado. Cominciò una grande stagione che dura tuttora. Enzo lo conobbi. Aveva doti fantastiche, che non avevo io: l'impeto, l'immediatezza, la prestanza fisica. Mi entusiasmai di lui e del gruppo bolognese. Una volta mi telefonò. Era successo il terremoto in Irpinia, era già partito, con le scatole di medicine in macchina, i ferri e quant'altro. Era presente. Aveva una "fissa", la base, il popolo, la gente. Mi ricordo al Meeting di Rimini, quando venne il Papa. La partecipazione fu veramente enorme, dentro e soprattutto fuori del salone principale, con la gente ammucchiata ovunque. Enzo voleva stare con il popolo. Io ero con la dirigenza, me lo ricordo in fila per la mensa, mentre ero al ristorante dei Vip (si fa per dire!). Mi diceva a bocca muta: "Io sono con la base". Era un trascinatore, dovunque andava "tirava su" migliaia di ragazzi, segno che quello che diceva era non solo entusiasmante, convincente.Tra noi parlavamo di tutto. Ci siamo visti praticamente tutte le settimane anche di più, per 20 anni, a Milano o a Bologna. Qui era un ospite fantastico: gli piaceva mangiar bene, mai una volta che pagassi. Poi, un giorno sì e uno no mi telefonava, spesso dopo mezzanotte: "Come va?". Immediatamente non sapevo cosa dirgli, perché, secondo me, andava come la sera prima, ma poi parlavamo: c'era, c'è, sempre qualcosa che andava o non andava. Quello che mi ha sempre impressionato di Enzo era il suo desiderio di confronto e di paragone. Aveva doti personali magnifiche, ma desiderava essere corretto. Questo è un segno di appartenenza, di servizio a un Altro. Tra noi discutevamo, a volte aspramente, di tutto, perché certi di una paternità, don Giussani, per cui era chiaro, molto chiaro, che l'ultimo giudizio non era nostro. Senza il rapporto personale, intenso con don Giussani, Piccinini, la sua vita, non si capisce. Comunque l'hanno capito così gli universitari, che hanno sentito la sua testimonianza agli ultimi Esercizi). "Tirava" e questo verbo era una delle sue espressioni favorite, nel senso che i pesi della vita erano molti, ma lui era sempre davanti, mai dietro "a spingere".
Era un amico e Iddio sa quanto. Avevamo più o meno la stessa età, i figli universitari, con una certa vergogna a fare i leader. Appunto, per età e storia, senza altre pretese, ci sentivamo padri dei ragazzi dell'università. Non poteva essere un gioco. Ci sentivamo, sulla famiglia, sul lavoro, sul movimento, che non era fuori, ma dentro. Il problema non era fare, ma essere. Quante persone piangevano al funerale e non "erano di noi". Enzo era un incontro per tutti: pazienti, professori, gente comune, gli americani, i francesi, gli inglesi e chissà quanti altri. Una dedizione totale, come ha detto don Giussani, non solo e non tanto come impegno, ma come mentalità e intelligenza. Ogni tanto ci vedevamo da soli, a pranzo o cena, per confrontarci sulla vita, non in termini definitivi (sarebbe stato sbagliato! Il senso dell'autorità era chiaro), ma per chiarire. L'ultima volta ci siamo visti a Piacenza. Siamo andati in un ristorante dove la padrona era una fan di Enzo, abbiamo mangiato due primi tipici e bevuto la grappa, abbiamo parlato di "noi", comprendendo tutto, poi ce ne siamo andati, ognuno per la strada assegnata. Poi ci siamo visti ancora, insieme agli altri, sempre a discutere e a capire. Adesso Enzo, come al solito, è andato avanti, "avantissimo". E io continuo a correre, attendendo.