TECNICHE PER FARSI COMPRENDERE


Il nostro atteggiamento mentale influisce sui risultati che otteniamo: un atteggiamento mentale positivo tende ad attrarre risultati che la persona interessata giudica positivi, un atteggiamento mentale negativo tende ad attirare risultati che la persona interessata giudica negativi.
Quello che è produttivo tenere a mente, sempre, è che, quando sto comunicando, ciò che conta non è l'intenzione che ho, ma il risultato, non importa ciò che comunico, ma cosa rimane, alla fine, all'interlocutore.
La realtà esiste, ma noi la percepiamo esclusivamente attraverso un filtro, i nostri cinque sensi, e per di più ciò che percepiamo viene poi elaborato dal nostro cervello, influenzato dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni.
Per arrivare ad avere una competenza, devo prima capire cosa non so fare, quindi imparare come farla bene quella cosa, quindi fare esperienza finché il comportamento non diviene automatico, sono cioè capace di fare qualcosa senza dovermi concentrare su ciò che sto facendo. Rendiamoci conto quindi del punto in cui siamo: se cioè sappiamo o no fare attenzione alle sfumature diverse nel modo di comunicare di una persona.
A volte siamo più concentrati su noi stessi che sull'altra persona e che a volte tendiamo ad usare solamente lo schema di rappresentazione prevalente: spesso siamo concentarti solo sulla vista, dimenticando gli altri quattro sensi. Come ovviare a questo? Semplice, consapevolezza ed atteggiamento mentale.
Se non siamo convinti di ciò che diciamo o facciamo, il nostro corpo dispone di meno energia.
Se imparare una tecnica nuova mi è costato energia, ma adesso me ne fa risparmiare, si è trattato indubbiamente di un buon investimento.

Tendiamo ad usare di più un senso che gli altri, perché lo troviamo più comodo.
Se state parlando con una persona, non vi serve sapere a quale figura astratta si avvicina di più, vi serve però avvicinarvi al suo stile di comunicazione perché il vostro messaggio arrivi con più chiarezza possibile. Nella comunicazione l'importante è il risultato, cioè il messaggio che arriva, perché il messaggio sia più chiaro possibile è più produttivo comunicarlo con lo stile più vicino possibile a quello del destinatario. Si tratta, quindi, alla fine, sempre di atteggiamento mentale, della voglia cioè di entrare il più possibile in empatia con la persona che abbiamo davanti. Se c'è questa volontà, a volte l'avvicinamento degli stili di comunicazione risulta naturale, a volte subentrano le tecniche imparate ed assimilate: la chiave è sempre quella, l'atteggiamento mentale.

Comunicare con uno stile quanto più vicino possibile a quello dell'interlocutore.
"Io sono così, se gli va bene ok, altrimenti ciccia! Perché dovrei perdere la mia identità?" Capisco il dubbio, ma qui non stiamo parlando di identità: parliamo solamente di stile di comunicazione. Diventa molto più facile per una persona ascoltarci e fidarsi di noi se noi facciamo uno sforzo. La mappa del mio interlocutore ha sempre la stessa dignità e merita lo stesso rispetto, almeno inizialmente, della mia. Ciò non significa che io debba cambiare valori e convinzioni ad ogni piè sospinto; accidenti, se io ho una identità mia, posso anche cambiarla, almeno in parte, ma serve un motivo davvero forte per farlo! Parliamo della mia identità, non della mia camicia!Prima di effettuare giudizi, guardiamola bene, prendiamo le misure, poi diremo qui è più corretta la mia mappa, qui la sua, qui, più probabilmente, sono differenti ma entrambe corrette. Se la mia mappa è fisica, sulla Valle d'Aosta vedo tanti monti ed una vallata. Se la mappa di uno di voi è politica, questa persona vede un colore uniforme, tanti puntini per le città ed una linea tratteggiata per i confini. Quale delle due mappe è sbagliata? Sono entrambe corrette, servono a scopi diversi.

Una M, vista da un'altra angolazione, diventa una W. Se io vado a vedere la W, diventa più semplice far muovere l'altro affinché venga a vedere la M. Il fatto che io vada a vedere la W non significa che io debba cambiare idea ed assumere l'idea dell'altro: significa una disponibilità a sentire le sue ragioni. Questo mi da un vantaggio innegabile: a sua volta l'altro si sentirà meglio disposto ad ascoltare me. Questo atteggiamento mentale è la base di tutto il procedimento, ma come fare a comunicare esattamente la nostra disponibilità all'interlocutore? La prima tecnica è la più antica del mondo, ma anche una delle meno sfruttate. Come fare a conoscere le idee di un'altra persona? Semplice, basta ascoltarlo. Però occorre ascoltarlo davvero, non lasciarlo parlare pensando a cosa dire poi, interrompendolo magari a metà discorso, per fare un'affermazione che non c'entra nulla con ciò che l'altro ha appena detto. Facciamo un semplice esercizio, due minuti di tempo.
Sappiamo come sia importante comunicare anche con il corpo, oltre che con la voce. Come fare a comunicare con tutto il nostro corpo che stiamo prestando attenzione alla persona che abbiamo di fronte? Con una tecnica detta del ricalco. Andiamo a ricalcare tono di voce, postura, modo di comunicare del nostro interlocutore, in modo da farlo sentire "a casa". Cosa vuol dire ricalco? Non vuol dire imitare pedissequamente l'altra persona ma vuol dire utilizzare schemi di comunicazione simili a quelli della persona che abbiamo di fronte. Vuol dire fare attenzione a chi abbiamo davanti e cercare di farlo sentire a proprio agio. Vuol dire pensare al risultato della comunicazione. Per farlo bene, in primo luogo occorre essere tranquilli e rilassati. Ricordate, possiamo sempre permetterci di rilassarci.

TIPOLOGIE DI RICALCO

La postura. L'interlocutore, inizialmente, può avere posture di chiusura, rigide, e può essere infastidito da posture eccessivamente rilassate o di apertura. Non occorre copiarlo pedissequamente, anzi, se è molto chiuso o rigido è meglio non imitarlo troppo, ma limitarsi ad essere più cauti del normale.
Il Paraverbale, cioè il volume, il tono ed il ritmo della voce, bisogna porre grande attenzione, in quanto si tratta di una forma di ricalco meno semplice di quanto appaia. Ricordate sempre: noi siamo abituati a noi stessi, quindi non ci percepiamo come ci percepiscono gli altri.
La stessa cosa riguarda la voce, che oltre tutto noi percepiamo dall'interno, non solo tramite le orecchie, e quindi noi sentiamo in modo completamente diverso da come sentono gli altri. Mi raccomando, attenzione! Chi di voi tende a parlare velocemente? Pensate a quanto fastidio vi da chi parla lentamente, con molte pause, e naturalmente viceversa, quanto fastidio da chi parla velocemente a che è abituato ad articolare un discorso con calme e con molte pause. Quando capitano queste cose, come pure quando trovate qualcuno che parla ad un tono di voce molto più alto o più basso di voi, semplicemente provate ad avvicinarvi. Perché dovreste farlo? Ormai credo lo sappiate. Perché ci piace la vita comoda. Perché, se vogliamo, possiamo permetterci di rilassarci.
Terminiamo con il ricalco verbale, il più sottile. Sottile perché è impensabile parlare esattamente come l'interlocutore; vi immaginate? Lui che parla ed io che ripeto pari pari quello che ha appena detto? Cosa pensereste, che sono bravo a ricalcare o che sono un deficiente? Si tratta, come sempre, di assumere stili di comunicazione simili. Prima di tutto: quanto sono grandi i pezzi di informazione che utilizzate? A questo punto, prima di rispondere, sorge spontaneo un quesito. Che accidenti sono i pezzi di informazione? Semplice. Quando comunicate una informazione, quanti dettagli date? Ad esempio, per dire che ho pagato la bolletta del telefono, io dico che ho pagato la bolletta del telefono. Mia moglie dice cosa ha indossato, poi la strada che ha fatto, quindi descrive la fila che ha trovato in posta, quindi parla della cassiera, a questo punto mi dice quale era il conto corrente postale, poi mi chiede se forse era meglio andare in banca, poi basta che non sono più capace di andare avanti, io, perché lei andrebbe avanti per ore. Risultato, io mi innervosisco perché lei mi tiene li ore, lei si innervosisce perché le metto fretta.
Un ricalco ancora più complesso è quello culturale. Si tratta di un ricalco complesso perché ognuno di noi ha una propria storia. Se io cercassi di copiare esattamente il livello culturale di un'altra persona, a prescindere dal fatto che sia più elevato o meno, inevitabilmente finirei per scimmiottarla, facendola innervosire. Porsi però su di un livello totalmente diverso inevitabilmente rende difficoltosa la comunicazione.
La ricetta è sempre la stessa, cercare di restare se stessi adeguandosi, però, il più possibile all'interlocutore. Tutto ciò è difficile, perché dovrei cambiare me stesso, divenendo una specie di Zelig, un imitatore del prossimo? Questi dubbi sono comprensibili, anche io voglio mantenere la mia identità, non sono disposto a cambiarla facilmente. Mi piace, per esempio, pensare a me stesso come ad una persona che usa la sua energia quando è necessario, dando sempre il massimo, ma la risparmia quando si può, in modo di disporne quando serve. Mi piace pensare a me stesso come ad una persona che si cura degli altri. Mi piace pensare a me stesso come ad una persona che si da il permesso di rilassarsi. Per questi motivi, quando comunico, mi piace cercare di mandare un messaggio in modo che possa essere recepito al massimo e cercare, per questo, di adeguarmi il più possibile al mio interlocutore. Per quanto riguarda la difficoltà e la spontaneità, la prima volta che mi sono rasato mi sono tagliato in otto punti, irritando ogni centimetro di pelle del mio viso. Adesso, però, sono anni che mi rado la barba tutti i giorni senza fatica. Come è stato possibile questo cambiamento? Semplice, Pratica, pratica, pratica. Non c'è altro modo. Alla fine, il metodo di comunicare diverrà spontaneo. Facciamo un esercizio breve. Mettiamoci in gruppi di tre: A, B e C. Due persone comunicano per tre minuti ed una ricalca l'altra. Il terzo osserva ed alla fine esprime le sue osservazioni. Quindi ditemi cosa ne pensate.

GUIDA
Il ricalco, per quanto importante, è la prima metà di una buona comunicazione. Una volta stabilita l'empatia con il ricalco, inizio ad allontanarmi dagli stili dell'altro per avvicinarmi ai miei. Ad esempio, parlando con una persona molto chiusa, posso iniziare a parlare mantenendomi molto cauto, poi fare un tentativo ed aprirmi. Se lui non si apre, ricomincio da capo e così via, fino a far si che lui si apra. Potrebbe sembrare un discorso puramente teorico, ma non è così: quando si crea empatia fra due persone, un certo adeguamento allo stile dell'altro è naturale, avviene spontaneamente. Una volta che io mi sono adeguato allo stile dell'altra persona, probabilmente questa tenderà ad adeguarsi a piccole modifiche che io apporti allo stile comune adottato. Di solito, chi è che tende a guidare l'altro? Chi ha un obiettivo. Se abbiamo un obiettivo preciso e l'altra persona no, tendiamo noi ad essere la guida, se siamo consapevoli di questo e ci prendiamo la responsabilità di quello che avviane. Cosa succede se entrambi gli interlocutori hanno un obiettivo preciso? Semplice, tende ad avere la guida chi ha idee più precise circa la propria identità. Se io ho ben chiari i miei valori, le mie credenze e chi voglio essere, posso tranquillamente tenere un atteggiamento morbido, andare a vedere la W per poi dire "Ora, vieni a vedere la M!" Se io invece non mi sento sicuro, devo fare il duro, devo essere aggressivo, altrimenti rischio di mettere in mostra la mia debolezza. Potendo essere più empatico, chi ha più certezze riguardo alla propria identità tende a divenire guida. Di solito a questo punto le obiezioni sono due. Sentiamo ad esempio quali sono le vostre. La prima obiezione è che questo è un bel discorso teorico, ma la pratica è un'altra cosa, ma l'America è lontana, dall'altra parte della luna. Capisco questa obiezione, accidenti, io ho vissuto fino ad oggi con delle convinzioni, mi sono fatto delle esperienze, poi arriva uno e mi dice di cambiare tutto. Proprio perché avete delle esperienze, cercate bene di osservare: la nascita di un rapporto empatico ed il successivo sviluppo, qualunque sia il contesto, avviene proprio in questo modo: ricalco e guida. Vi suggerisco semplicemente di applicare sempre, con consapevolezza, schemi che applicate solamente in alcune circostanze, a seconda dei casi, e di divenire esperti utilizzatori di questi schemi. La seconda obiezione che ricorre è che in questo modo si fa manipolazione. Anche questo è un dubbio che comprendo e proprio per questo ho ragionato bene su queste tecniche. Tralasciando quanto detto prima, cioè che questi sono schemi spesso inconsapevolmente utilizzati, il punto centrale sta nell'obiettivo: qual è l'obiettivo che mi pongo nel creare rapporto empatico sfruttando schemi di ricalco e guida? Se il mio obiettivo è quello di far fare all'altro cose che non farebbe a mio esclusivo vantaggio, faccio manipolazione. Se cerca di sviluppare interessi comuni per avere vantaggi condivisi, si tratta di un normale rapporto empatico. Immaginate che io cerchi di abbordare una ragazza ad una festa. Se io utilizzo questi schemi per fare porcate inenarrabili con una ragazza che sta solo pensando di andare a dormire da sola, faccio manipolazione. Usate ancora di più l'immaginazione, spero che tra voi ci siano appassionati di fantascienza, ed immaginate invece che anche io interessi alla ragazza in questione. L'uso di tali schemi in tal caso non è volto a manipolare l'altra persona, ma solo a raggiungere risultati di reciproco godimento, se mi passate il termine.

CONCLUSIONE
Imparare nuove tecniche non è sempre semplice, inizialmente non vengono spontanee, bisogna fare pratica. Fatta la pratica, le tecniche divengono spontanee. Il nocciolo sta nella motivazione, nel motivo per cui impariamo. Vorrei farvi un esempio per spiegarlo meglio.
Qualche tempo, in estate, fa volevo tanto andare a vedere il film "Il gladiatore", che mi ero perso in inverno. Non potevo lasciare a nessuno la mia bimba, che aveva da poco compiuto un anno e dieci chili, così decisi di portarla, ma visto che il film non mi sembrava adattissimo,
decisi di portarmela mettendola nello zaino, che lei preferiva al passeggino. Era una serata splendida, ed il cinema era un'arena all'aperto ricavata nel giardino di un castello svevo: tutto sembrava ideale. Ad un tratto, però, mia figlia inizia a lamentarsi, così devo alzami
in piedi. Passa il tempo e mia figlia continua a lamentarsi, così devo iniziare a camminare avanti ed indietro con la figlia nello zaino. Il film durava oltre tre ore. Dopo un'ora e mezzo ho alzato bandiera bianca e sono andato via.
Qual è la morale del racconto? Semplice, che se vado al cinema non me dovete da rompere… no, scherzavo, la morale è che per gustare un film,per quanto spettacolare, è meglio stare spaparanzati in poltrona con una birra in una mano ed un sacco di popcorn nell'altra. Cioè, se
scegliete la vita comoda un intoppo, ad esempio il popcorn cattivo o la birra calda non vi rovina il film, tanto ci sono tutti gli altri fattori a posto; se invece scegliete una strada scomoda, come ho fatto io quando sono andato a vedere quel film, basta un intoppo ed il godimento salta
completamente.
(Sintesi di un articolo di Alessandro Gatti - Sintesi di comunicazione efficace)