LA CATTEDRALE DI MICHELIN


Avvenire, mercoledì 23 aprile 2008, p. 31
di Francois Michelin - presidente onorario del Gruppo Michelin (fatturato consolidato del 2007: 16867 miliardi di euro - 190 milioni di pneumatici all'anno)

Ho 81 anni, sono sposato da 56 anni e ho «ricevuto» sei figli con la missione di aiutarli a diventare ciò per cui sono nati. Ho lavorato in fabbrica per 50 anni e sono molto contento di averlo fatto, perché le difficoltà che tutti noi incontriamo sono il mezzo più grande che abbiamo per essere educati. Spesso è possibile ottenere più profitto da un fallimento che da un successo, perché quando si ottengono dei risultati positivi si rischia di «specchiarsi» senza analizzare nulla, mentre davanti a uno scacco siamo obbligati a essere attenti alla realtà e a imparare da essa.
Ho perso mio padre e mia madre all'età di 10 anni e mio nonno, che mi ha preso con sé, ha assolutamente voluto che imparassi a lavorare usando le mani. Ho imparato a lavorare l'acciaio, a montare pezzi difficili con la precisione di un centesimo di millimetro e non era affatto semplice.
Se non avessi tenuto conto della lima o del pezzo di acciaio che dovevo lavorare, non sarei arrivato da nessuna parte. Ho capito insomma che la materia era molto più forte di me. La mia esperienza con il legno e la latta, insieme alla formazione che mio nonno mi ha costretto a vivere, sono state un elemento fondamentale che poi ho ritrovato nella mia realtà professionale.
In questa scuola, creata dalla fabbrica, eravamo in molti ancora bambini e molti giovani (siamo arrivati a circa 6.000), figli di lavoratori dell'azienda.
Il nome non aveva nessuna importanza, eravamo fondamentalmente tutti uguali, con lo stesso desiderio di imparare. È stata per me un'esperienza sociale estremamente profonda; molti compagni dell'epoca sono morti, altri mi capita di incontrarli a parlare di quei tempi, sempre con molta nostalgia. Quando sono arrivato in fabbrica il mio responsabile era una persona molto più anziana di me, un ingegnere molto qualificato, entrato in fabbrica molti anni prima come operaio, una persona che, tra l'altro, ha inventato lo pneumatico radiale.
La prima cosa che mi disse fu: «Signor François, se lei non ama lo pneumatico, se ne può andare anche subito!», e aggiunse: «È perché amo lo pneumatico che sono riuscito a vincere molte difficoltà ». Questo vuol dire che se uno ama e ha la passione per il lavoro che sta facendo, tutte le difficoltà avranno un senso e diventeranno un'occasione di progresso. Tutte le grandi scoperte e invenzioni nel mondo sono state generate dal fatto che c'era qualcosa che non funzionava o che funzionava in modo insufficiente. Forse tutti conoscono la storia dei tre tagliatori di pietra, ma vale la pena ricordarla. Al primo viene chiesto cosa stia facendo e risponde: «Sto tagliando una pietra». La stessa domanda viene posta al secondo: «Sto creando una scultura». Il terzo invece esclama: «Sto costruendo una cattedrale ». Quando si lavora uno pneumatico, che è stato il mio lavoro per cinquant'anni, quando pensiamo che è un elemento importante di un'auto e si è attenti al cliente siamo nella posizione del terzo tagliatore, stiamo costruendo una cattedrale. C'è un fatto unico in Italia, che venga chiamato «operaio» chi lavora.
Chi è un operaio? Chi fa un'opera. Un giorno sono stato invitato a discutere di come potrebbe vivere un'azienda in un mondo virtuale; ho preso allora un vocabolario francese e ho scoperto che la radice vir significa «forza», indica un potenziale. La parola virtuale quindi ha un senso filosofico estremamente importante, indica cioè che state diventando quello che siete già in profondità. Un seme è «virtuale» di un albero. Alla fine della conferenza ho tirato fuori dalla tasca un seme di avocado e ho detto: «Questo è un avocado virtuale. Un'azienda in un mondo virtuale è un'azienda in un mondo di possibilità ed è proprio questo che è appassionante, perché il mondo industriale, guardandolo in modo positivo, non è già determinato. Ci sono sempre molte più possibilità di quante se ne immaginino in azienda stessa».
Ho fatto un lavoro ripetitivo e difficile e spesso ho provato una vera gioia quando i cambiamenti della situazione mi permettevano di trovare qualcosa di diverso in quello che facevo. È il lavoro dell'intelligenza e non è un lavoro ripetitivo. Questo è vero in qualsiasi lavoro. Pio XI parlava del «terribile quotidiano», il quotidiano nelle nostre giornate è ripetitivo, le nostre giornate sono ripetitive, ma ogni volta diverse, esattamente come gli incidenti stradali. Ancora una volta la possibilità di dare un gusto è data dal pensare al futuro proprietario della vettura. Se dimenticate la finalità di quello che state facendo la vostra attività sarà sempre sgradevole. Mi è capitato di discutere con le persone che puliscono le camere nella casa di cura dove è ricoverata mia moglie.
È difficile fare le pulizie per bene, in particolare in una clinica dove è importante che non ci siano polvere e microbi. È un lavoro estremamente ripetitivo. Mi sono sorpreso a vedere l'attenzione di quelle persone verso i malati, che dava un senso impressionante al lavoro. Come insegna il tagliatore di pietre, togliendo la polvere stanno costruendo la cattedrale.