Frasi Sulla Scuola di Comunità Raccolte da Articoli o Incontri



"Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne."

1) "Il mio saluto è che il vostro lavoro abbia ad ottenere un vantaggio reale per la vostra vita. La S.d.C. è innanzitutto un lavoro: è il lavoro che costruisce, è il fenomeno umano per cui, plasmando la realtà creata, la realtà che ci circonda, qualcosa si erige di organico ed ospitale, di utile, di umano. Perciò vi auguro che il lavoro che dovete fare attraverso la S.d.C. sia veramente profittevole. Sarà profittevole, ve lo assicuro, se lavorerete sul serio; lavorare sul serio vuol dire seguire un metodo e il metodo è seguire qualche persona più grande che ha già percorso un pezzo di strada e che percorre la strada con più fattori di quanti ne possiate tenere in mano voi, che siete ancora nella vita piccolo, nonostante tutto. Ma mi domandavo adesso, perché c'è la S.d.C., perché abbiamo creato la S.d.C. tanti anni fa? La vita ha uno scopo, e il fatto che ci siano tanti problemi che urgono nelle nostre giornate, è proprio la conferma che la vita ha uno scopo. Non avesse scopo non ci sarebbero problemi. Questo noi abbiamo voluto fare istituendo la S.d.C.: che non ci sia problema umanamente sentito nella nostra vita che non trovi risposta, risposta adeguata (la risposta adeguata di un problema sono le ragioni costitutive di quel problema). Questo dà alla vita curiosità e gusto. Ma questa è stata la scoperta delle prime ore di religione che io ho fatto, quando mi sono dovuto accorgere che la fede ha più ragioni che non quelle reperibili dall'intelligenza umana come tale. La fede è più capace di risposta ai problemi umani di quanto lo sia perciò, come capacità, la ragione stessa. Per questo l'abbiamo amata questa fede, perché essa si è mostrata ai nostri occhi con una grandezza più affascinante della grandezza del nostro pensiero di uomini e più accogliente di quanto possa essere accogliente un cuore generoso d'uomo. Il mio augurio è perciò che abbiate a sperimentare questo: sperimentare come ogni problema sia abbordabile con ragioni che presentano o indicano la soluzione, ma che solo la fede, tutte queste indicazioni, conclude, corregge e conclude. E' come quando ci si alza all'alba che c'è ancora il crepuscolo, e non si vede di chiaro niente, eccetto le ultime stelle; si intravedono le sagome delle cose, delle case, degli alberi, delle colline. Ad un certo punto avviene un fenomeno, un fenomeno che sembra normale ed è strano, non deriva dal crepuscolo, anzi dopo si capisce che il crepuscolo deriva da esso. E' il fenomeno del sole che sorge. Allora le case, gli alberi e i colli si definiscono secondo la loro vera natura, secondo la loro vera forma e tutto si compone dentro una tranquillità nella quale l'uomo è sicuro, incomincia ad agire sicuro. Vi auguro che la S.d.C. sia per voi questo sole che sorge dalla confusione crepuscolare delle intuizioni naturali, dell'intelligenza naturale. Intuizioni che vengono erette (fino a sistema) soltanto da un volontarismo accanito, vale a dire da un'ultima e sorda inintelligenza, da un'ultima e sorda incapacità di risposta. La fede è la capacità di risposta di tutti i problemi che emergono nelle giornate che viviamo. E tutto convoglia alla grande risposta che è necessaria per definire lo scopo per cui si vive, la ragione per cui si vive, la ragione del problema come tale che è la vita. Auguri dunque di buon lavoro."(don Luigi Giussani)

2) La S.d.C. mi insegna a giudicare.

3) La S.d.C. mi valorizza ogni cosa, anche la più banale. Mi fa abbracciare con uno sguardo diverso tutta la realtà. E' il punto di partenza con cui io sto di fronte alla realtà. Mi educa di fronte a tutto.

4) Ci vuole il passaggio da una impressione ad una certezza.(A.T.)

5) Solo se ne faccio esperienza la S.d.C. mi aiuta a crescere.

6) La S.d.C ci fa capire anche quel particolare versetto delle lodi che abbiamo sempre recitato distrattamente o senza capirne il senso.(A.T.)

7) S.d.C. mi educa al senso religioso, alla ricerca della vera posizione di fronte al mio destino. Mi aiuta a dire "io" con verità.

8) S.d.C. è per togliere tutte le barriere tra me e Cristo. Non si può capire e poi fare. Ci spiega l'oggetto e come siamo noi. Ci manca il farne esperienza.

9) La S.d.C. è cultura. C'è tutto di tutto. C'è l'inizio di tutto. C'è l'inizio dell'inizio.

10) La S.d.C. mi tranquillizza. Mi tira su da ogni delusione.

11) La S.d.C. è per seguire il movimento altrimenti è un perditempo.

12) Si deve vivere quello che si legge e farne memoria ogni giorno.

13) Capisco S.d.C. solo se mi gioco del tutto, fino in fondo. 

14) Nella S.d.C. c'è la mia vita, quella di tutti i giorni.

15) Non capisco come fanno a vivere quelli che non fanno S.d.C..

16) Un'ora al giorno di S.d.C. prima e dopo lo studio, sul treno, prima delle lezioni, prima di addormentarsi ,.... Non c’è nessun sviluppo se non c'è un lavoro continuo. 

17) Invece di guardare la TV è molto meglio se faccio S.d.C..

18) Per capire S.d.C. bisogna arrendersi al movimento nel suo corpo concreto. (D.M.)

19) E' tutto scritto lì, non devo cercare di trovare altri concetti o altre parole ma bisogna leggere letteralmente quello che c'è, 1, 2 o 10 volte, ogni volta scopro qualcosa di nuovo. L'unica cosa: paragone con me stesso . (D.M.)

20) La S.d.C. mi aiuta a vincere la mia timidezza.

21) Sarebbe molto utile se mi imparassi a memoria tutti i titoli dei vari paragrafi o tanto meglio i punti principali. Se lo faccio per gli esami tanto meglio per S.d.C.. Serve per avere una impostazione mentale.(E.P.)

22) Sarebbe il massimo impararsi il libro a memoria. Bisogna leggere, leggere, studiare quello che si legge come se dovessimo prendere 30 e lode. (D.C.)

23) Le frasi sono dense. Ogni parola ha il suo peso. (D.M.)

24) La S.d.C. mi insegna a domandare.

25) La S.d.C. è tutto quello che mi dice Don Luigi Giussani, tutto quello che mi dice il movimento. E' tutto quello che mi dice Cristo.

26) Lo scopo del mio dire non è insegnare quello che penso, ma provocare a capire il metodo con cui si arriva alla risposta, il metodo con cui si arriva a conoscerla. L'uomo è colui che cammina e il metodo è un cammino.(D.L.G.)

27) La S.d.C. è la cosa più importante che ho. (E.P.)

28) Nella S.d.C. devo comunicare la mia esperienza vivente, non parole mie. (A.T.)

29) Non è un lavoro astratto sul testo ma un lavoro che mi costruisce.

30) Il rischio è quello di comunicare un'apparente bravura. 

31) S.d.C. è un Carisma che mi fa compagnia. E' il rapporto con qualcuno. E' l'emozione personale del rapporto con Cristo. (D.M.)

32) S.d.C. è la documentazione di questo avvenimento. Deve essere vissuta come la ricerca di comprendere cosa c'è tra noi. La S.d.C. è rivolta ad affermare qualcosa che c'è prima.

33) La S.d.C. è importante nella misura in cui è importante il rapporto con un altro.

34) Per chi guida: si possono spiegare solo le cose che si amano.

35) Se io ci tengo a S.d.C. posso anche mangiare solo un panino a pranzo pur di esserci.

36) La puntualità indica come io sono affezionato al gesto, come ci tengo.

37) Se per motivi maggiori salto S.d.C. chiedo cosa è stato fatto.

38) S.d.C. farla con metodo: cambia nella misura in cui tu sei disposto a cambiare e dalla grazia di Dio che ti cambia.

39) S.d.C. applicata: Bisogna tentare un giudizio su tutto quello che succede e trattenere dei giudizi fondamentali di cui fare sempre memoria. (M.C.)

40) In una udienza il Papa ha detto a Giussani che leggeva tutti i suoi libri: se li legge il Papa figuriamoci noi.(G.C.)

41) S.d.C.: si prende una frase, si vede cosa c'entra con quello che viene prima e con quello che viene dopo e cosa c'entra con me. (D.L.G.)

42) Quando non si capiscono le citazioni si passa avanti perché esse dovrebbero essere chiarificatrici, se non lo sono si lasciano perdere.(D.R.)

43) ...ma siccome la S.d.C. non vi è servita a nulla o quasi, perché non l'avete studiata, non l'avete compresa, non l'avete trattenuta, non avete pregato Iddio che ve la facesse vivere, la S.d.C. di 2 o 3 anni fa si è persa nel vento. Grazie a Dio abbiamo ancora altre occasioni per riprenderla. (D.L.G.)

44) Bruci tutto il movimento, si svaghi nell'aria tutta la sostanza del movimento, muoia il movimento se la S.d.C. non diventa parola mia, evidenza mia, ragione mia, cuore mio, affezione mia, suggerimento di parola, di preghiera mio. (D.L.G.)

45) S.d.C.: è uno strumento dove esercitiamo il giudizio, dove siamo chiamati ad esercitare il giudizio, dove, quindi, impariamo ad amare, perché esercitare il giudizio è imparare ad amare. (G.C.)

46) La S.d.C. è per noi perché è per tutti e non viceversa. (G.C.)

47) Il punto di attacco della S.d.C. è il cambiamento del pensiero. Devo imparare a pensare. L'uomo che mi ha insegnato di più a pensare: Don Giussani. Devo cambiare mentalità.(D.C.)

48) S.d.C. è lo strumento ordinario di questo annuncio guidato. In essa ho continuamente verificato, cioè "reso vera", la mia vita. Se sono fedele, mi accorgo di crescere ogni giorno un poco di più. Non posso, per questo, esimermi dal compito di rendere la S.d.C. occasione di vita per tutti i fratelli uomini che il Signore mi fa incontrare.

49) A riguardo della natura del carisma del movimento non si tratta di un << criterio metodologico>> da apprendere ma di uno "sguardo" da imparare: uno sguardo che non lo si finisce mai di imparare. (D.C.)

50) In 20 anni che sono del movimento ho conosciuto solo 2 persone che fanno S.d.C. tutti, ma proprio tutti i giorni. (D.U.)

51) E' attraverso la S.d.C. che uno impara a guardare la faccia della ragazza a cui vuol bene, a guardare e a pensare questa faccia in un modo più profondo, sempre più profondo, fino in fondo, perché in fondo a quella faccia sta Cristo. (D.L.G.)

52) La proposta del movimento è sistematicamente e criticamente contenuta nella S.d.C.. Essa rappresenta il contenuto più importante a cui prestare attenzione ed il punto di riferimento del giudizio e del paragone.

53) Il lavoro sul testo di S.d.C. è la modalità più concreta per mantenere un rapporto sistematico con il carisma del movimento. Carisma è il dono dello Spirito, che agisce in funzione della Chiesa tutta, utilizzando temperamento, tempo e spazio; utilizzando l'umano.

54) E' la fedeltà al carisma che genera presenza e missione; è dalla fedeltà al carisma che l'esperienza nasce e produce uno sviluppo umano con capacità di presenza.

55) Il "genio" proprio del carisma del movimento è metodologico, pedagogico. Il movimento è sorto come preoccupazione perché i giovani conoscessero Cristo in modo tale che la sua presenza diventasse persuasiva per loro.

56) Il metodo del movimento è indicato nella parola "avvenimento": rivelare la presenza di Cristo come avvenimento presente. E', infatti, in un avvenimento presente che Cristo si rivela persuasivamente. La metodologia del movimento sta tutta quanta nel sostituire a delle categorie ripetute o a un discorso reiterato l'incontro con un avvenimento. La moralità nasce come tensione ad investire la vita con l'avvenimento che si è incontrato e in cui si è stati coinvolti; tensione ad appartenere e, quindi, a confrontarsi con ciò che il movimento è. La compagnia diventa avvenimento, e quindi sorgente di moralità, in quanto è impostata in modo tale da rendere più facile ad ognuno il paragone di tutto ciò che vive con la proposta del movimento.

57) È questa la modalità concreta per mantenere il rapporto con il carisma: investire con un avvenimento e far penetrare in questo avvenimento. L'inizio di questo avvenimento dovrebbe essere la responsabilità personale di chi dirige: che sia serio il suo rapporto con quel che dice agli altri. Questo accende la vita della compagnia come avvenimento.

58) Se la S.d.C. è ridotta a categorie di un "discorso" non fa sviluppare il movimento. Se è un lavoro, un punto di paragone, diventa fattore affascinante di avvenimento.

59) Ciò che si deve comunicare è l'entusiasmo, la bellezza di un paragone. Il paragone ha in sé una componente esistenzialmente drammatica, perché se uno non si confronta deve correggersi. E' proprio questo che trascina con sé educativamente: merita di essere seguito solo chi segue. Ciò che non diventa urgenza ad un cambiamento è falso, anche se è un discorso correttamente ripetuto.

60) La S.d.C. deve essere fatta dentro un serio paragone con il testo, non seguendo il filo delle proprie preoccupazioni.

61) Come la S.d.C. diventa un punto di paragone? Deve essere innanzitutto letta chiarendo insieme il significato delle parole. Non una interpretazione, ma la sequela letterale. E' un rinverdimento del metodo scolastico del Medio Evo: lettura talmente testuale che i commenti si facevano ai margini. Bisogna diventare discepoli del testo. In secondo luogo, occorre dare spazio alla esemplificazione di un paragone tra ciò che si vive e quello che si è letto. Bisogna chiedersi come quello che si è letto e cercato letteralmente di capire giudica la vita, giudica quello che è accaduto il giorno prima, quello che sta avvenendo nel mondo e nella propria situazione. Così la S.d.C. diventa un gesto missionario; non deve essere un "seminario interno". Come fa ad essere valida per me la S.d.C., se non la sento piena di promessa di speranza anche per l'uomo che incontro per la strada o per il compagno di scuola o lavoro? Se è valida per me perché non deve essere valida per lui? Proponendola all'altro, scatta l'unità umana che c'è tra me e lui, la sete umana che ci accomuna e l'àncora di risposta che brilla per me e per l'altro.

62) Il lavoro di S.d.C. più che essere fondato su gesti eccezionali, è lavoro di tutti i giorni.

63) Non è produttivo sostituire il lavoro di S.d.C. con qualcosa d'altro, da sé immaginato; sarebbe una inconsapevole accusa della propria incapacità a fare S.d.C.

64) Il contenuto di coscienza più elementare nella vita del movimento, senza del quale tutto il resto resterebbe inutile dal punto di vista che ci anima e col quale invece, anche da solo, si possono ottenere grandissimi risultati, è la S.d.C. . Senza di essa non si oltrepassa la soglia del movimento, con essa avviene una impressionante efficacia di aggregazione e la creazione di una mentalità nuova.

65) Per fare S.d.C. bisogna essere persuasi noi che la convivenza con Cristo persuade.

66) Il problema fondamentale è che "passi" la logica della fede, il contenuto della fede. Quello che deve avvenire è la scoperta della fede, di una coscienza più matura e dettagliata della fede. Per questo l'idea di "PerCorso" è giusta: la S.d.C. non pretende di affrontare esaurientemente i problemi, ma di segnare la strada da percorrere.

67) La S.d.C. è l'imbattersi personale e il personale approfondimento del Fatto cristiano. Da qui nascono tutte le iniziative. In primo piano è l'emozione del rapporto personale con Cristo e la scoperta dell'unità con Lui. Per questo diventa importante, diventa "sacra" la circostanza umana in cui questo incontro è avvenuto e in cui si approfondisce: la compagnia vocazionale. In essa si approfondirà il mio rapporto con Cristo e la coscienza della mia responsabilità nel mondo di fronte a Cristo.

68) Comprendere è una grazia. Il fatto stesso che Dio ha introdotto ad un incontro significa che vuol condurre la persona fino in fondo. Dio incomincia per portare a compimento. E' il tempo che compie. Tutto è grazia. La coerenza è un miracolo. Scoprire questo fa avere l'energia per camminare e rende lieti.

69) Non capire per fare, ma stare per comprendere. (J.R.). La S.d.C. è un modo per stare.

70) Leggere di Cristo fa venire voglia di seguire, non immediatamente di cambiare la vita. Se il termine fosse cambiare la vita, l'attenzione si sposterebbe inevitabilmente su di sé invece che sulla presenza. Neanche uno iota della legge viene eliminato da questa impostazione, anzi, viene reso possibile, viene compiuto. La legge non viene tolta, ma diventa vita. Lo scopo immediatamente è seguire; il compimento è nelle mani di Dio, come l'incontro. Questo è il PerCorso: uno all'inizio è colpito e segue; poi identifica il suo interesse con quello di Dio e identifica la sua verità con la verità obiettiva, quella di Dio; e poi, col suo tempo, Dio compie.

71) La S.d.C. funziona quando il suo contenuto accende la domanda a Cristo. Così, ad esempio, quando uno si ritrova arido e non comprende l'intensità degli avvenimenti, chiede a Dio di poter capire.

72) Guardare in faccia alle parole; tanto più uno guarda in faccia alle parole, tanto più si immedesima. E anche se questo sguardo è arido, l'insistenza in esso diventa una domanda. Tutto quello che non si riconduce a domanda non è umano. 

73) Più importante della modalità con cui si svolge il gesto, è la fedeltà ad esso.

74) La S.d.C. non è anzitutto uno "strumento" per la vita del movimento di cui si possa fare a meno, ma ne è come la fonte; descrive la natura dell'esperienza del movimento. Se vissuta come strada e non come strumento, la S.d.C. produce già un cambiamento. Per questo è così importante che chi parla durante l'incontro testimoni il suo proprio cambiamento.

75) Ridurre la S.d.C. ad un arzigogolare sui pareri suscitati dalla lettura ci rende asfittici.

76) La consolazione di vedersi in tanti ad un raduno non può essere sostitutiva dell'impegno del singolo.

77) Nelle modalità di svolgimento della S.d.C. deve essere rispettato il principio della libertà. Ognuno partecipi nel momento in cui si sente più aiutato.

78) La S.d.C. deve essere dettata dalla maggior facilità ad acquistare la conoscenza di Cristo e la passione per Lui fino alla missione. Se la S.d.C. non desta la missione è fasulla. Inversamente, creare iniziative missionarie e opere che non partono dalla S.d.C. è artificioso. L'orizzonte della S.d.C. non è che piaccia alla gente, ma che generi missione. Tanto più uno vive la vita del movimento tanto più è missionario e, quindi, tanto più vuol approfondire quella vita.

79) Come modalità deve prevalere quella che esalta la S.d.C. come fede (riconoscimento di Cristo), carità (amore a Cristo) e missione (testimonianza di Cristo). In questo senso la missione è il test della fede e dell'amore a Cristo e, quindi, della S.d.C.

80) Chi guida la S.d.C. dovrebbe essere la polla sorgiva di questo momento come avvenimento. E diventa polla sorgiva se ciò che legge colpisce lui, tanto che, con descrizione e senza sentimentalismi, sarebbe opportuno che dicesse: "Capisco che questo determinato passaggio giudica innanzitutto me". Se invece chi guida investe la gente con i suoi pensieri, abitua ognuno a seguire i propri pensieri.

81) La S.d.C. deve essere sentita, vissuta e sofferta da chi la guida, il quale, proprio per questo, cessa di essere un "cattedratico" e diventa, come tutti, uno che cerca. E perché questo cercare non sia intellettuale deve essere domanda. Questa ricerca e questa domanda generano affezione reale.

82) Chi guida una S.d.C. deve innanzitutto dare testimonianza del proprio lavoro. Questo è un seme gettato. Non si possono calcolare gli esiti, che sono nelle mani di Dio. Che almeno chi la guida si senta totalmente giudicato e determinato dal contenuto della S.d.C. . La parola "incontro" è inevitabile in qualsiasi comunicazione tentiamo di fare, ed è incontro quello con un soggetto cambiato. <![endif]>

83) Se chi guida S.d.C. non è impegnato personalmente nel lavoro, finirà per aderire solo a preoccupazioni organizzative. Nessuna nostra azione può essere fittizia, e lo è quando salta la persona.

84) Il criterio con cui stabilire i gruppi di S.d.C. non è una simpatia che lascia tranquilli; è il contrario: si devono stabilire S.d.C. dove venga sfidato il modo normale di vivere, e questo può accadere in quattro o in quattromila.

85) La S.d.C. è realmente una scoperta continua. Chi l'ha fatta minimamente con serietà lo può giurare, cioè lo può confermare.(D.L.G)

86) La S.d.C. è lo sviluppo di una esperienza che comincia prima della S.d.C., di un avvenimento che è sempre prima della S.d.C.: viene prima della prima pagina e viene prima di qualsiasi pagina e viene prima di qualsiasi frase di qualsiasi pagina. C'è qualcosa che viene prima della S.d.C.: se tu vivi qualcosa che viene prima sei dentro, se sei innestato se sei immerso in esso, allora la S.d.C. vibra e, parlandone, comunichi agli altri una esperienza vivente, comunichi una vita: altrimenti usi parole, rovesci addosso ai ragazzi solo parole tue.

87) Nella presenza dentro l'ambiente, l'aiuto più grande viene dall'uso della S.d.C.. Ma come si fa a fare S.d.C. senza domandare Dio? Senza preghiera? Come si a fare S.d.C. senza cercare di capire? Senza iniziare a capire la corrispondenza con la nostra esperienza personale? Come si a fare S.d.C. senza avvertire la logica interna del testo? E come si fa a fare S.d.C. senza che venga voglia di dire al proprio compagno: vieni anche tu.

88) La S.d.C. è l'espressione di quello che sta avvenendo, è un fatto vivente che accade qui ed ora, perché la S.d.C. è come l'immedesimarsi, l'identificarsi, il coincidere di più con quello che proprio adesso ci sta accadendo. Come quando erano lì seduti Giovanni e Andrea, e poi Simone quando è venuto, mentre guardavano parlare Gesù in un modo che spiegava il contenuto di tutta la vita: quella cosa era lì presente, accadeva in quello stesso momento. La S.d.C. ha questa natura, la natura del dirsi, del dispiegarsi, del mostrarsi di tutta la verità che ci è stata data, che accade innanzitutto in quel momento.(P.)

89) La S.d.C. ci fa capire di più l'avvenimento, e facendolo capire di più, ci infiamma di più il cuore nell'aderire, rende più tenera la nostra durezza: è un aspetto della nostra risposta alla grande Presenza. ...evitare qualsiasi riduzione della S.d.C. ad un'opera puramente intellettuale o puramente dialettica: perché essa è invece la conoscenza di qualcosa di presente, destinato ad essere l'oggetto proprio dell'amore del nostro cuore, così che in ogni cosa questa Presenza sia più possibile ad amarsi. La S.d.C. deve far diventare ricca l'autonomia con cui noi maturiamo noi stessi, e noi maturiamo noi stessi quanto più cerchiamo di comprendere il rapporto che intercorre tra noi e la grande presenza di Cristo. La S.d.C. mi descrive il fatto, e descrive il cambiamento avvenuto, e questo mi richiama come deve avvenire in noi il cambiamento, ci fa desiderare che avvenga in noi il cambiamento: ci fa pregare. Per questo non si può fare S.d.C. senza pregare, non si può capire senza pregare, si capisce mentre si prega, si prega perché si capisce. E poi è impossibile leggere e capire la S.d.C. senza prevedere, progettare un cambiamento di sè: un progetto che, umile per tutte le esperienze già subite della propria debolezza. Perciò l'uomo che fa sul serio S.d.C. è come uno che cammina diritto con sguardo fisso al destino, cade e risorge, senza nulla che lo possa fermare. La S.d.C. è un atto di vita, altrimenti non è S.d.C.. E' una meditazione, cioè e una conoscenza maggiore, non è uno stato d'animo genericamente abbandonato. Alla fine di una S.d.C. uno sa rendere conto, di più, a se stesso di quel che fa, sa rendere conto di più, agli altri quello che fa. E guarda coloro con cui fa S.d.C realizzando quello che diceva S.Paolo:<<Stimate gli altri migliori di voi, abbiate stima degli altri più che di voi stessi>>... si crea la propria vita e niente è inutile, niente sfugge, niente è da poco, e perfino il nostro male diventa bene. E' questa è la cosa meditando la quale la S.d.C. porta alla emozione più grande, tutta la nostra S.d.C. desta l'emozione più grande in noi su questo punto; e non abbiamo nessun'altra letteratura in cui possiamo leggere queste cose: la misericordia.... (D.L.G.)

90) La S.d.C. è un grande dono che il Signore ci ha fatto e di cui ne dobbiamo fare sempre tesoro.

91) S.d.C. è una scuola cioè attività di imparare. La S.d.C. è la modalità che abbiamo per capire quello che ci è successo.(E.P.)

92) Mi sono ripromesso di intervenire sempre a S.d.C. così almeno se dico una stupidaggine vengo corretto e quindi ci cresco.(D.C.)

93) L'uomo è come un cubo di marmo. Bisogna scalpellarlo per dargli la forma. (J.R.) La S.d.C. ci aiuta in questo.

94) La S.d.C. mi rende capace di affrontare gli altri e i problemi quotidiani con sicurezza e pieno di certezze.

95) Noi dobbiamo imparare ad avere la stessa sensibilità di Giussani. Per questo ci è chiesto di leggere certi libri, di ascoltare certa musica o altro. Il carisma è uno: seguiamolo in tutto.

96) La S.d.C. vuole affermare la non confusione tra le ragioni fondamentali e problematiche secondarie, indicando pur sommariamente il luogo delle une e delle altre per ciò che concerne l’esperienza cristiana.(D.L.G.)

97) Nel cammino della S.d.C. è essenziale l’atteggiamento di "libera disponibilità".

98) La S.d.C. ci dice che la realtà è pieno di mistero. E’ piena di fango ma porta l’oro.

99) È importante invitare tutti. Bisogna vedere chi non è venuto perché va richiamato : noi dobbiamo avere a cuore tutti. (M.O.) <![endif]>

100) Se uno non viene a S.d.C. senza avvertire prima vuol dire che non ce l’ ha a cuore.(M.O.)

101) S.d.C. intende educarci a dilatare la nostra capacità di uomini in una strada di libertà, e la ricerca ed esperienza del vero cui essa ci introduce disegnano nel tempo l’autentica statura dell’uomo, da sempre e costantemente assetato di realtà, di essere.(D.L.G.) 

102) S.d.C.: è come se sempre l’uomo ha cercato il volto di Dio, di immaginarlo; però noi stiamo imparando che il volto umano è il riverbero indiretto del volto di Dio.(E.P.)

103) La S.d.C. è un lavoro di paragone personale: si va avanti, si torna indietro e si collega. Non basta dire ho fatto bene o male.(M.O)

104) Per noi la S.d.C. è troppo importante. E’ stare ad essa così come si presenta: bisogna provare a vivere da lì. Così ogni frase va letta e riletta facendone sempre memoria. Mentre viviamo ce la portiamo nel cuore. La S.d.C. ci chiede di cominciare l’approccio sulla realtà non da quello che hai capito ma partendo da lì.(F)

105) La S.d.C. non si fa, la gente è convinta di farla ma non si fa. Per noi la S.d.C. è un punto di sconvolgimento del mio punto di vista, cioè parto da lì, dalla S.d.C., e questo mi precede con quello che capisco e so. La S.d.C. è vera quando è l’occasione per un rapporto io-tu cioè paragone reale dell’esperienza.(E.P)

106) La prima forma di proposta agli altri è la Scuola di comunità, non la propria scaltrezza culturale. Per fare Scuola di Comunità bisogna:

- leggere il testo,chiarendo insieme il significato delle parole;

- chiedersi come quello che si è letto e cercato letteralmente giudica la vita, giudica quello che è accaduto il giorno prima, quello che sta avvenendo a Mosca o l'atteggiamento da avere col parroco.

107) Una presenza che muove

I fattori costitutivi della Scuola di comunità.

Appunti sintetici da una conversazione con don Giussani

L' inizio dell'esperienza è l'incontro con una realtà umana diversa. Una Scuola di comunità che ne prescindesse sarebbe ideologia o astrazione. Nella Scuola di comunità si deve certo parlare della vita, ma alla luce dell'esperienza nuova incontrata. Altrimenti si parla della vita così come la si pensa, la si sente, così come essa fa reagire in termini naturali, comunque secondo un criterio diverso dall'appartenenza. La Scuola di comunità è lo strumento principale della vita nuova, del modo nuovo di perseguire lo scopo dell'io nuovo.

Chi guida

Tutto dipende da chi guida la Scuola di comunità. Se chi la guida è una presenza, allora l'intelligenza e l'affettività vengono mosse in modo diverso. La novità guida. Se invece fa una lezione, non è una presenza, non muove. Tutt'al più muove una dialettica, una discussione, un succedersi di pensieri. E l'indomani, alzandosi al mattino, tutto quel moto di pensieri non c'entra più con l'esistenza.

A. Il sintomo che la Scuola di comunità è guidata è che uno esce diverso da come è entrato.

B. La Scuola di comunità deve rappresentare uno sviluppo dell'incontro fatto: in essa continuamente viene riassunta e superata tutta la vita del movimento.

C. Senza esistenzialità (nesso tra la parola e il reale) non si può fare Scuola di comunità: solo così è espressione di un'esperienza. Se non porta almeno all'individuazione di qualcosa da cambiare e, quindi, al desiderio di fare accadere questo cambiamento, non può trattarsi di Scuola di comunità.

Come si fa Scuola di comunità?

Come preghiera. Poiché la Scuola di comunità deve riassumere il fenomeno stesso del movimento nel suo sviluppo, ricordiamoci che non c'è ricerca della verità sul Destino, su Dio, senza preghiera. Pregare, quindi, all'inizio del raduno. Occorre pregare anche durante il raduno, come modalità d'animo in chi domanda e in chi risponde: come posizione di umiltà, lieta e sicura di ciò che porta. La preghiera diventa anche scoperta della necessità del sacramento, nel quale l'avvenimento iniziale ridiventa presenza.

Come si svolge Scuola di comunità?

Innanzitutto è una scuola: un luogo e un metodo in cui si impara. Imparare vuol dire aumentare la coscienza del reale. Imparare implica capire il testo nel suo significato, cioè nel suo rapporto col reale e nelle ragioni che porta per far comprendere questo suo nesso col reale. È inevitabile che per capire si debba ripetere (petere ad=tendere a): aumentare l'attenzione. Ripetere con attenzione equivale a vedere. Quando si capisce? Nella misura in cui si sperimenta la corrispondenza delle parole che si leggono e che si sentono con quel che si vive. Così il reale, nella misura in cui vien fatto accostare, diventa epifania della coscienza dell'appartenenza.

Quattro punti di lavoro

I) Lettura intelligente, attenta alla modalità del rapporto con le cose, ai giudizi che fa nascere, alle ragioni che dà.

II) Comunicazione dell'esperienza (tutto può entrare), in paragone col testo.

III) Una cultura che si sviluppa. La sorgente delle motivazioni e dei criteri deve nascere dall'interno della natura dell'esperienza e non deve venire dal di fuori. Si è tanto più geniali quanto più si penetra nell'avvenimento che ci ha colti, quanto più si segue.

IV) La sintesi di chi guida: esempio comunicato dello sviluppo di esperienza che chi guida ha fatto durante l'avvenimento della Scuola di comunità.

L'esito comunicativo

Da una Scuola di comunità così concepita e vissuta nasce un impeto affettivo di comunicazione che ha tre flessioni:

a) testimonianza e missione;

b) attenzione ai bisogni, carità fino alla consistenza organica di opere;

c) cultura: l'impeto affettivo di comunicazione ispira fantasia, cammini di giudizio, scoperte logiche, con tutti gli strumenti necessari che ne nascono. 

Saluto di don Giussani per l’inizio della Scuola di comunità su "Il Senso Religioso" degli studenti di CL nell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Milano, 8 ottobre 1998

Vi sono molto grato di discutere sul volume che contiene le mie idee, esposte in tanti anni di lezione, prima in un Liceo e soprattutto all’Università. Ad ogni anno dicevo: «Io non voglio costringere alla persuasione nessuno, ma non voglio che si rinneghi quel che dico da nessuno che non abbia almeno letto le ragioni che io dico».

Mi permetto chiedervi di leggermi nell’intento sincero ed immediato di condividere con tutti i giovani la fatica sul valore della religione sorta da Gesù, figlio di Maria, ebreo di Nazareth.

Non si capisce se non verificando le idee e i valori nella propria singolare esperienza. Questa esperienza può consistere anche nello shock o nel particolare sentimento che si sorprende in se stessi, o nella storia di un popolo o del mondo.

L’esperienza dice cose che dimostrano la sua verità. Quello che vi dico mi è dettato tutto da qualcosa che io ho studiato, desiderato, che ho ripugnato, ma finalmente amato con passione. Per me è l’esperienza che insegna tutto il valore di idee e di cose permanendo nel tempo sia persuasivamente sia dubitativamente. Anche grandi pittori, musicisti e poeti dimostrano di continuare a riprendere il tema ispirato ad una "bellezza" incontrata. In questa occasione che mi avete data Vi auguro una sincerità, una franchezza in tutto e un amore alla verità anche condiviso.

La mia vita ha conosciuto la letizia a queste condizioni.

Infine voglio ripetervi quello che santa Caterina, analfabeta, che è il più grande genio femminile italiano, diceva all’ultimo Papa di Avignone: «Se sarete quel che dovete essere, metterete fuoco in tutta l’Italia. Non accontentatevi delle piccole cose: Egli, Iddio, le vuole grandi».

Buon cammino.

don Giussani