COME (SECONDO ME) CI SI DOVREBBE PREPARARE PER UN ESAME DI INGEGNERIA

La preparazione di un esame (di qualunque facoltà universitaria) comincia con la frequenza alle lezioni; in un corso ben organizzato il Docente deve consigliare "testi di riferimento" o fornire materiale didattico (appunti,dispense scaricabili dal web) che ricoprono interamente gli argomenti trattati, e sui quali sia possibile preparare l'esame.
Se questo accade, lo studente può seguire il corso dedicando tutta la sua attenzione alla "lezione" tenuta dal Docente, arrivando ad un livello di comprensione e di prima memorizzazione della materia certamente superiore a quello che otterrebbe prendendo appunti, a testa bassa, magari non capendo ciò che si scrive.
Sia la preparazione dell'esame scritto (numerico o comunque analitico, e non un orale fatto per iscritto) che quella dell'orale devono essere basate, secondo me, sugli stessi (pochi) principi, validi sia per il caso di corso molto "formalizzato" (e cioè con molte dimostrazioni logico-matematiche-deduttive), per quello di un corso prevalentemente "informativo-culturale".
Il principio fondamentale è (a mio giudizio) il seguente: l'apprendimento deve essere il piú attivo possibile; la veritá di quello che si sta imparando deve, se possibile, essere "scoperta dallo studente".
Così, avendo letto le prime battute di una qualunque dimostrazione, o analisi di un fatto fisico, lo studente deve cercare di intuire dove si vuole arrivare (e per quale via) e provare ad arrivare lui stesso alle conclusioni autonomamente dal libro; alla obiezione che può essere fatta, e cioè che così si rallenta la preparazione, si può rispondere che, quando capiti di riuscire a "reinventarsi" una analisi o una dimostrazione, esse si imprimono nella mente con tale vigore da rendere minima la necessità di ripetizioni.
Quanto si è detto si applica (verrebbe da dire "a maggior ragione") all'apprendimento della abilitá di risolvere esercizi, o più in generale problemi ingegneristici.
Solo nelle prime fasi si potrà leggere e commentare un esercizio giá svolto; il prima possibile si deve cercare di risolvere esercizi e problemi da soli, resistendo alla tentazione di "vedere come si fa".
Personalmente ricordo di essere rimasto, da studente, anche interi pomeriggi su esercizi particolarmente ostici di analisi I, all'inizio della preparazione (venivo dal liceo classico), non volendo "assorbire passivamente" dal libro il metodo di soluzione; non certo per orgoglio, ma per istinto di "crescita autonoma"; il tempo perso inizialmente fu presto recuperato, poiché la mia abilità crebbe, nel tempo, in modo "molto più che lineare".
Naturalmente, perché l'apprendimento attivo sia possibile, occorre che il metodo di studio sia adatto allo scopo.
Occorre evitare di leggere il testo molte volte, ripetendo poche volte(o non ripetendo affatto) come la pigrizia ci consiglierebbe di fare.
Occorre leggere un paragrafo, una dimostrazione, un argomento (di quattro, cinque pagine) con estrema lentezza (facendo passaggi, calcoli, prove, con penna e carta già durante la prima lettura) una sola volta, e ripetere, scrivendo i passaggi matematici, facendo schizzi e parlando ad alta voce, almeno due o tre volte; occorre leggere il testo solo se "ci si inceppa", occorre cercare di raffinare l'esposizione ad ogni ripetizione.
Volendo sintetizzare (in un modo un po' paradossale) si può dire che, arrivati alla prima lettura (e ripetizione) ad esempio a pagina 150 ci si dovrebbe sentire in grado di sostenere l'esame sulle pagine già lette; non bisogna impressionarsi (e perdere la calma) se, con questo metodo, almeno inizialmente, sembra di andare "troppo piano".
A me capitava di terminare la "prima lettura" (fatta come detto, e con "ripassi" di roba già letta ove il prosieguo lo richiedesse) anche solo otto, dieci giorni prima dell'esame; la "seconda lettura" però consisteva quasi sempre in una pura ripetizione (due o tre volte, con carta e matita per ogni argomento o paragrafo), perché mi accorgevo "di sapere giá".
La seconda lettura occupava cinque, sei giorni; gli ultimi quattro o cinque giorni erano riservati ad un'ultima ripetizione, a libro chiuso, con carta e matita.
Seguire il metodo sopra descritto vuol dire "costruire" (e cioè andare avanti) quando le "fondamenta" (e cioè quello che si è già studiato) sono solidificate, e questo fornisce gli strumenti per quell'apprendimento attivo di cui si è detto all'inizio.
É da sottolineare che i consigli contenuti in questa nota derivano da un'esperienza fatta, da chi scrive, soprattutto "su se stesso" e non possono essere interpretati come universalmente adatti ad ogni situazione e ad ogni personalitá. Bisogna però insistere sul fatto che la ripetizione (fatta nei modo descritto) non è solo una prova di verifica della propria preparazione, ma è un momento di apprendimento; in altre parole la lettura dà la conoscenza, la ripetizione consolida la memorizzazione.
SANDRO SANDROLINI