"SULLE TRACCE DI CRISTO"


Intervista rilasciata da Mons. Luigi Giussani a Luigi Amicone nel dicembre del 1996, di ritorno da un viaggio in Terra Santa.

Al ritorno dal suo pellegrinaggio in Terra Santa pensa che sia cambiato qualcosa nel suo modo di intendere e di vivere l' annuncio cristiano?

In questo viaggio ho innanzitutto sperimentato la conferma della natura del cristianesimo. Dio si è fatto presente all'uomo attraverso una realtà umana inscritta in un determinato ambiente, leale con tutte le condizioni dell'uomo e del momento storico in cui ha scelto di manifestarsi. Ho sentito il rinnovarsi del concetto di incarnazione, cioè di una presenza che è passata attraverso tutte le condizioni concrete e storiche in cui ha scelto di accadere. A questo proposito la grotta dell' Annunciazione e la casa di san Giuseppe a Nazareth sono i due luoghi che mi hanno maggiormente impressionato.

Le città della Terra Santa e in particolare Gerusalemme rappresentano quasi un simbolico crocevia delle tre grandi fedi monoteiste. Viaggiando in questi luoghi quali analogie, quali differenze ha percepito tra il cristianesimo e le altre fedi?

La presenza delle altre fedi monoteistiche in Palestina rincalza l'impressione precedente, perché risulta evidente la differenza: nell'ebraismo come nell'islamismo Dio non entra nel mondo e non impegna il suo progetto sulla storia seguendo, come lo sviluppo di un seme, l'identificazione con persone e luoghi e situazioni attraverso cui ha scelto di comunicarsi. Le altre fedi o coincidono, come nell'ebraismo, con una storia che risulta malinconica, perché tutta segnata da un'attesa che non ha riscontro, oppure, come nell'islamismo, si ha una forma evoluta di sincretismo religioso.

Al Muro del Pianto lei diceva che questo è il simbolo più drammatico che lei conosca. Perché?

È il simbolo più drammatico per me perché rappresenta la storia di un popolo che, non avendo riconosciuto l'incontro per cui è stato scelto, mantiene la forza enorme della sua memoria e dei suoi valori identificando la testimonianza della purità assoluta del concetto di Dio con la sopravvivenza della propria stirpe. Quel muro è il simbolo di un'enorme volontà di memoria, che però sembra quasi non abbia più potere sul cambiamento dell'uomo e quindi sulla sua salvezza.

In una delle nostre conversazioni durante questo viaggio lei diceva che la Chiesa e quindi le esperienze di Chiesa viva come quelle dei movimenti, del suo movimento, sono continuamente chiamate a scegliere tra «presenza e potere». Può chiarire i termini di questa alternativa?

Vedendo quei luoghi dove soltanto un'umanità viva, sia pure determinata così embrionalmente e seminalmente, ha potuto attecchire e avere la forza di resistere, di comunicarsi e di travolgere il mondo, risulta chiaro che nella vita della Chiesa di oggi quello che conta è la vivezza di una fede rinnovata e non un potere derivato da una storia, da una istituzione che si è affermata o da un ordinamento intellettuale teologico. Ciò che conta è realmente che la vita incominciata in Maria e Giuseppe, in Giovanni e Andrea, sia come riaccesa nel cuore della gente, e la folla sia aiutata ad un incontro incidente sulla vita così come avvenne alle origini del cristianesimo.

Qual è l'immagine più viva che porta con sé al ritorno dal suo pellegrinaggio?

La cosa più impressionante è stata vedere il buco dove fu piantata la croce, il luogo in cui Cristo è morto, dove Cristo ha agonizzato. Vedendo quel posto, immaginando l'incomprensione e il non riconoscimento di tutta la folla che stava a guardare, si capisce che dev'essere una cosa terribile e grande il male del mondo se Dio ha accettato un sacrificio così, una morte del genere.

Quello che ci si porta via da quei luoghi è il desiderio, lo struggimento, che la gente si accorga di quanto è accaduto. E invece quello che è accaduto sembra sia oggi possibile cancellarlo così come si cancella con un piede una lettera sulla sabbia - una lettera sulla sabbia del mondo. Ma questo avviene proprio perché ciò che è accaduto è una proposta alla libertà dell'uomo e perché sia chiaro che la potenza è di Dio. Oggi tutto il resto la politica, l'economia, ecc. - sembra più grande e più importante di questo avvenimento così facilmente e a buon mercato identificabile con una fiaba. Ma la concretezza di quell'avvenimento è così umana, vedendo quei luoghi, che non si può tornare dalla Palestina col dubbio che il cristianesimo sia una favola. Mettersi nelle condizioni naturali, logistiche, in cui Cristo ci è venuto a trovare: il paesaggio che ha visto, le rocce che ha calpestato, le distanze che ha camminato... tutto collabora e costringe a capire la verità di quello che è accaduto.