"SULLE TRACCE DI CRISTO" - Verità da toccare
da Tracce N. 2 - febbraio 2000
di Paola Ronconi
La Terrasanta alla vigilia dello storico viaggio di Giovanni Paolo II. I luoghi e le pietre che hanno visto nascere come un bambino la grande Presenza che ha segnato l'inizio del tempo. Un piccolo gregge, la memoria e la fedeltà
Alla fin fine non sono altro che sassi. A Betlemme, a Nazareth, a Gerusalemme poi si sprecano. La maggior parte sono protetti da strati di civiltà: romani, bizantini, musulmani, crociati. E poi ancora cristiani ortodossi o francescani. Nei secoli si sono avvicendati coloro che hanno tentato di preservarli a coloro che invece hanno tentato invano di distruggerne anche la memoria. Proprio questi sassi stupiranno anche noi, partiti alla volta dei luoghi santi in pellegrinaggio.
È per pregare su queste pietre che il Papa a marzo (2000), a duemila anni dalla nascita di Cristo, verrà in questa terra. Una terra tanto venerata dalla maggior parte dei credenti del mondo (siano essi cristiani, musulmani o ebrei) quanto divisa e tormentata da problemi che s'intrecciano in maniera apparentemente irrisolvibile.
Nella sua bolla di indizione del Giubileo, la Incarnationis mysterium, Giovanni Paolo II ha scritto: "La nascita di Gesù a Betlemme non è un fatto che si possa relegare nel passato. Dinanzi a lui, infatti, si pone l'intera storia umana: il nostro oggi e il futuro del mondo sono illuminati dalla sua presenza. Egli è "il Vivente" (Ap 1,18), "colui che è, che era e che viene" (Ap 1,4). Di fronte a lui deve piegarsi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sottoterra, ed ogni lingua proclamare che egli è il Signore (cfr. Fil 2,10-11). (…) Il Grande Giubileo dell'Anno 2000 (…) sarà un evento che verrà celebrato contemporaneamente a Roma e in tutte le Chiese particolari sparse per il mondo, e avrà, per così dire, due centri: da una parte la Città, ove la Provvidenza ha voluto porre la sede del Successore di Pietro, e dall'altra la Terra Santa, nella quale il Figlio di Dio è nato come uomo prendendo la nostra carne da una Vergine di nome Maria (cfr. Lc 1,27). Con pari dignità e importanza il Giubileo sarà pertanto celebrato, oltre che a Roma, nella Terra a buon diritto chiamata "santa" per aver visto nascere e morire Gesù. Quella Terra, in cui è sbocciata la prima comunità cristiana, è il luogo nel quale sono avvenute le rivelazioni di Dio all'umanità. È la Terra promessa che ha segnato la storia del popolo ebraico ed è venerata anche dai seguaci dell'Islam. Possa il Giubileo favorire un ulteriore passo nel dialogo reciproco fino a quando un giorno, tutti insieme - ebrei, cristiani e musulmani - ci scambieremo a Gerusalemme il saluto della pace".
Il Papa partirà dal monte Nebo, in Giordania (da qui Mosé vide la Terra promessa), e toccherà Betlemme, Gerusalemme e la Galilea.
BETLEMME
Noi che eravamo partiti dall'Italia alla volta della Terrasanta con la valigia piena di molto da chiedere, un po' di curiosità e indumenti abbastanza leggeri, iniziamo il nostro pellegrinaggio proprio da Betlemme, al freddo e al gelo (addirittura sotto un imprevisto nevischio che ha giustificato la neve che nelle nostre case mettiamo sulla capanna del presepe!).
Dobbiamo ringraziare sant'Elena se possiamo venerare il luogo della mangiatoia. La madre dell'imperatore Costantino, infatti, fece costruire una basilica (nel 323) sopra quella che per tradizione era venerata come la grotta della nascita di Gesù. Adriano imperatore aveva tentato due secoli prima di cancellare la memoria di ogni luogo cristiano, edificandoci sopra templi pagani, ma così facendo rese più semplice l'identificazione delle località vere e proprie.
Come altri luoghi santi, per secoli è stata oggetto di compravendite tra il governo turco e le varie comunità cristiane. Questo fino al 1852, anno in cui si stabilì il mantenimento delle condizioni di fatto (statu quo) in cui si trovavano le diverse comunità cristiane alla data del decreto. Oggi la basilica è di proprietà dei greci ortodossi e degli armeni; i francescani (custodi a nome della Santa Sede dei luoghi di giurisdizione cattolica) possono transitarvi e celebrare nella grotta della Natività in orari molto rigidi. Ci si aspetta una rozza grotta; ma, sotto il coro della chiesa, una stella d'argento su una lastra marmorea porta inciso: "Hic de Virgine Maria Jesus Christus natus est", qui Gesù Cristo è nato dalla Vergine Maria. Qui e non in altro luogo. E decisamente la nostra ragione fa fatica a comprendere che l'onnipresenza di Dio sia passata da qui, da una mangiatoia. "Il Signore è entrato nel mondo come un seme dentro la terra - così don Giussani osservava nel 1986, visitando questo luogo -. Tutto è avvenuto senza nessun clamore umano. Tutto il popolo ebraico e il grande Giovanni Battista aspettavano il Messia come qualcosa di clamoroso. Come qualcosa di eccezionale che avrebbe realizzato la giustizia nel mondo... È accaduto qualcosa di irresistibile: un seme vivo che prorompe nella terra a dispetto di tutti i passaggi delle stagioni".
Mentre aspettiamo di scendere nella grotta che è occupata dal Patriarca ortodosso (è la prima settimana di gennaio, si celebra il Natale ortodosso), un sacerdote copto impugna una ramazza e si mette a scopare il tappeto che delimita l'area della "sua giurisdizione". Vedutolo, un prete ortodosso (che ha molto di quel povero personaggio del film Il compagno don Camillo incontrato in una chiesa sconsacrata nella Russia comunista) accorre e fa lo stesso sui gradini che portano all'altare rialzato della basilica. Non manca il terzo: un francescano che si "occupa" invece della "sua" striscia di territorio. Straniti chiediamo spiegazione alla guida: "Chi pulisce ha diritto al territorio". Scenette folkloristiche a parte, questo episodio surreale è solo un esempio della situazione che la Terrasanta vive. Non è facile la convivenza delle diverse comunità cristiane.
Qualcosa però si muove: il 4 dicembre scorso i patriarchi e i capi delle comunità cristiane di Terrasanta in occasione del Giubileo del 2000 hanno firmato un documento comune: "La nostra presenza cristiana possa essere una testimonianza fedele al messaggio che portiamo", in quanto "la nostra vocazione è quella di essere cristiani qui e non in un altro posto nel mondo". Michel Sabbah, patriarca latino, saluta il nostro numeroso gruppo di pellegrini e ci benedice: "Sono pochi i cristiani qui. Ma anche con Gesù erano pochi: un piccolo gruppo, segno di contraddizione". Quando gli chiediamo cosa significherà per i cristiani di Terrasanta l'imminente venuta del Papa, si infervora: "La visita del Papa significa tanto: prima di tutto un incoraggiamento della fede cristiana; la persona del Papa... sì, è il capo della Chiesa, capo del corpo di Cristo di cui siamo parte, la sua persona è portatrice dello Spirito che diventa trasparente attraverso di lui. Dunque il suo messaggio sarà il messaggio dello Spirito di Dio nella nostra terra per la nostra fede cristiana, ma anche per tutta la situazione umana di conflitto e di dialogo interreligioso. Noi aspettiamo che sia un messaggio a tutti noi, abitanti di questa terra. Musulmani, ebrei, cristiani".
GERUSALEMME
Il nostro albergo è posto in cima al monte degli Ulivi e da lì si ha un panorama spettacolare di Gerusalemme e delle sue mura. Viene in mente Gesù quando pianse alla vista della città: "Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata" (Lc 19,42-44). Il caos delle vie di questa città, la varietà della sua gente, gli edifici, sentinelle che riparano i luoghi sacri a "mezzo mondo", gli odori speziati e i posti di blocco. Tutto qui si mischia e crea un fascino unico. Ma lascia dietro sé un'immensa tristezza per quelle pietre, pezzi di presenza di Cristo, e per l'incapacità dell'uomo a convivere.
Alla basilica del Santo Sepolcro queste contraddizioni esplodono. Così Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, qui parlò: "Un senso di stupore e di dolore provano i cristiani venuti qui da lontani paesi dinanzi al disordine, alla confusione di uomini e di cose, di lingue, di riti, di fede che circonda il Santo Sepolcro" (Amicone, Sulle tracce di Cristo, p. 150).
Nella basilica, nel giro di qualche passo, si ripercorrono le vicende dei pochi giorni della Passione di Cristo: per pregare sulla pietra del Sepolcro si deve entrare nell'edicola all'interno della chiesa. Mentre salendo dei ripidi gradini ti trovi sul Calvario, al cospetto della pietra dove venne conficcata la croce. E tra la pesantezza delle decorazioni, noi fedeli non possiamo far altro che pregare e sfiorare le pietre.
Don Giussani, in una lettera alla Fraternità di qualche anno fa, diceva: ""Quello che i nostri occhi hanno visto, quello che le nostre mani hanno toccato, quello che le nostre orecchie hanno udito del Verbo della vita", scrive san Giovanni ai primi cristiani. La verità toccata con le mani. Ciò risponde a quella sete con cui il Signore aveva creato l'uomo. L'uomo è fatto della sete di toccare, di vedere, di udire il Verbo della vita. Lo ricordava, in una sua poesia, il premio Nobel Milosz: "Sono solo un uomo. Ho quindi bisogno di segni sensibili. Il costruire scale di astrazioni mi stanca presto"".
Camminando per i vicoli di Gerusalemme, resi viscidi dalla pioggia e dall'unto di bancarelle che vendono dolci poco affidabili, ci si chiede se il Papa riuscirà a muoversi in questi luoghi non certo agevoli. Più di una persona ha espresso la sua perplessità sulle difficoltà pratiche di questo viaggio e delle conseguenze politiche che potrebbero nascere, ma sentendo questi discorsi la mente va a Giovanni Paolo II, mentre apriva la Porta Santa: cosa c'è di più certo di quello sguardo?
GALILEA
Lasciamo Gerusalemme, e percorriamo il deserto di Giuda, da sud a nord. Questa era la strada carovaniera che attraversava la Palestina, 150 km che fece Maria per andare a trovare Elisabetta, che rifece per andare a farsi registrare per il censimento. Che fece Gesù quando andò a Gerusalemme.
Ci lasciamo alle spalle le zone aride e pietrose della Giudea per arrivare alla fertile Galilea.
Per quasi cento chilometri costeggiamo la linea di demarcazione tra Israele e i territori occupati: in mezzo alla terra rossastra, alle sterpaglie e al filo spinato ogni tanto sbuca una camionetta con i militari Onu che controllano la zona.
Prima di partire un amico mi aveva detto: "È inutile andare in Terrasanta volendo giudicare e trovare chi, tra i contendenti, ha ragione, tutti coloro che vi abitano hanno ragioni validissime. Torni a casa più confuso di prima. L'unico modo è cercare di capire, di parlare con la gente". E di amare quella terra.
Nazareth accoglierà Giovanni Paolo II proprio il 25 marzo, giorno dell'Annunciazione. Tutto è partito da qui. "Hic - come a Betlemme - Verbum caro factum est". Il verbo si è fatto carne nella discrezione di una cittadina a quei tempi poco significativa, fino al momento in cui "l'angelo Gabriele fu mandato da Dio". La basilica dell'Annunciazione, a forma di giglio rovesciato, protegge nelle sue fondamenta il luogo dove Gioacchino e Anna vivevano con la figlia Maria. Un'umile casa. Nient'altro. E viene da chiedersi com'era quell'angelo, cos'ha provato Maria. Magari si è seduta un po' esterrefatta su quella sporgenza di pietra, in casa, sulla destra.
Anche se è una giornata uggiosa, il lago di Tiberiade ci accoglie con un dolce paesaggio. Dal monte delle Beatitudini guardiamo il profilo dei monti circostanti. In duemila anni il paesaggio sarà cambiato, ma quei colli sono sempre gli stessi. In questa terra è facile immaginarsi la vita di Gesù coi suoi amici. I resti della casa di Pietro a Cafarnao, dove viveva con sua moglie, sua suocera, suo fratello e Gesù, sono oggi visitabili. Un'abitazione semplice, di pescatori.
A 3 km da Cafarnao, a Tabga, una spiaggia sassosa accolse i discepoli con le reti zeppe di pesci. Entriamo nella chiesa che conserva la roccia della "Mensa Christi", dove Gesù preparò i pesci ai discepoli. Qui Gesù chiese tre volte a Pietro se lo amava e a lui conferì il Primato. Dei tanti luoghi che in una settimana di pellegrinaggio abbiamo visitato, pochi sono così commoventi. Qui è semplice immedesimarsi, vedere Pietro che risponde a Gesù, e desiderare di essere amati così.
Papa Paolo VI qui si prostrò in preghiera durante il suo pellegrinaggio in Terrasanta nel 1964 e pianse.
È vero, non sono altro che sassi, ma è solo perché proprio lì è accaduto qualcosa che viene un brivido quando, durante la messa, il sacerdote recita: "Questa è la nostra fede, questa è la fede della Chiesa e noi ci gloriamo di professarla nel nome di Cristo Gesù, nostro Signore".
Quando le ruote dell'aereo si staccano dalla pista dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, provo un forte sentimento di nostalgia. Un po' come quando si parte da casa.
IL PUNTO DELLA QUESTIONE
David Jaeger è membro della Commissione permanente bilaterale di lavoro Israele-Vaticano e docente di Diritto canonico al Pontificio Ateneo "Antonianum" di Roma. Ebreo d'origine, si convertì al cattolicesimo a 17 anni, e successivamente divenne sacerdote; nel 1993 fu uno dei protagonisti dell'accordo tra Israele e Vaticano
Dopo gli accordi del dicembre 1993 e del novembre 1997, che evoluzione hanno avuto i rapporti tra Israele e Vaticano? Qual è la situazione attuale e quali sono i problemi aperti più gravi?
L'accordo fondamentale firmato il 30 dicembre 1993 prevedeva, prima di tutto, due accordi complementari e poi una serie di accordi ulteriori. Il primo accordo complementare è il riconoscimento agli effetti civili delle persone ecclesiastiche, firmato il 10 novembre 1997, ma ratificato soltanto il 3 febbraio 1999.
Il secondo accordo complementare, quello sulle questioni economiche, specialmente lo statuto fiscale della Chiesa, sarebbe stato previsto, secondo l'accordo fondamentale, per il 1996. Invece i relativi sono ancora in corso e non si può prevederne una data di conclusione. I negoziati si svolgono in un'atmosfera di grande cordialità ed è evidente che i funzionari israeliani coinvolti sono molto competenti e hanno la buona volontà, però il ritmo è sempre molto lento. Ci augureremmo una notevole accelerazione di questo ritmo perché nel frattempo i problemi concreti che si verificherebbero in questo campo sono di non lieve entità. In seguito, si dovranno curare gli altri accordi previsti dall'accordo fondamentale su tante questioni, per esempio la cura pastorale delle persone in situazione di sconfinamento, prigionieri, la gente nei nosocomi, militari, ecc. Oppure gli accordi per eliminare pregiudizi, promuovere una presentazione positiva, equilibrata della Chiesa, del cristianesimo in Israele, specialmente nel sistema scolastico, ecc.
Quindi c'è un ordine del giorno molto ricco per il lavoro della commissione bilaterale. Anche se il ritmo finora è stato alquanto lento, si può sperare in un lavoro più vigoroso. Recentemente, però, è sorto un problema imprevisto e cioè la decisione del governo israeliano di costruire una moschea alle porte della basilica dell'Annunciazione, che è il santuario dell'incarnazione del Verbo divino a Nazareth, a dispetto di tanti interventi pubblici e privati delle autorità ecclesiastiche a tutti i livelli. La moschea è stata voluta da un gruppo di estremisti islamici, come primo passo di un loro programma più vasto.
Il governo ha fatto sua questa pretesa. Sembra che sia stata una decisione presa da un ministro abbastanza marginale all'interno della compagine governativa e del resto privo di esperienza di governo. E che il consiglio dei ministri finora non ha avuto il coraggio di rovesciare questa decisione. Eppure rovesciare si dovrà, perché non è concepibile che vada avanti un progetto del genere. Del resto sarebbe avversato da ogni funzionario ufficiale israeliano con il quale io ho parlato personalmente. Qualcuno di loro mi ha detto recentemente che le proteste del mondo cristiano avrebbero fatto una certa impressione e che se le proteste continuassero ci sarebbe una buona speranza. Se mai la moschea fosse costruita le conseguenze… è meglio neanche pensarci.
Da un punto di vista diplomatico, che significato ha la visita del Pontefice in Terrasanta?
Anzitutto, come è stato ribadito più volte dalla Santa Sede e come tutti sappiamo, si tratta di un pellegrinaggio ai luoghi santi della Redenzione in occasione del Giubileo del 2000. Comunque, la situazione contingente dà anche la possibilità al Papa di incontrare i massimi esponenti delle due nazioni che vivono sul territorio, quella palestinese e quella israeliana. Si spera che, da una parte, promuova comprensione e buona volontà da parte dei rispettivi connazionali per i cristiani che vivono in mezzo a loro e, dall'altra parte, serva a rincuorare questi stessi cristiani che si trovano in situazione di minoranza all'interno di due società di cui il processo di formazione non è ancora completo. Cioè in tutte e due le società, quella palestinese e quella israeliana, speriamo in un'evoluzione che porti a valori democratici stabili in tutti i campi, compreso quello della libertà di religione e di coscienza, che ci sta a cuore più di ogni altra cosa. Quindi ci auguriamo che la testimonianza del successore di Pietro serva a promuovere anche questi obiettivi.
A che punto è la questione di Gerusalemme?
Israele e Palestina si sono impegnati bilateralmente a risolvere la questione politico-territoriale di Gerusalemme nel quadro dell'accordo di pace definitivo tra di loro. Comunque, da soli non sono competenti per restituire uno stato di diritto a Gerusalemme, visto che le decisioni definitive spettano alla sola comunità internazionale in virtù delle risoluzioni dell'Onu. La Santa Sede invoca uno statuto speciale internazionalmente garantito per Gerusalemme, che garantisca sul piano del diritto internazionale la salvaguardia del patrimonio culturale e religioso di Gerusalemme, che interessa tutta l'umanità, compresa la garanzia della libertà, dell'uguaglianza di tutti i cittadini di Gerusalemme, di qualsiasi religione o credenza. Quindi si spera che Palestina e Israele accettino che una risoluzione definitiva sulla questione di Gerusalemme superi le proprie competenze unilaterali o bilaterali e che possano far parte della ricerca di quello strumento giuridico internazionale che si auspica per Gerusalemme.
SECOLI DI CUSTODIA
Padre Giovanni Battistelli è l'attuale Custode di Terrasanta. I Francescani sono in questi luoghi fin dalla loro origine (XIII sec.) e gestiscono i Luoghi Santi in nome della Santa Sede. Attualmente sono più di 300 in Terrasanta dove, oltre al ministero pastorale, seguono opere d'accoglienza per i pellegrini (in tutto il territorio ci sono le loro "casae novae", ostelli per i pellegrini), gestiscono lo Studium Biblicum Franciscanum per l'attività archeologico-scientifica
Dopo Paolo VI nel 1964, a fine marzo Giovanni Paolo II verrà a visitare i luoghi santi. Che significato ha per lei e per i cristiani di Terrasanta questo evento, nell'anno giubilare?
È un evento di straordinaria importanza. Il Papa è il successore di Pietro, che da qui, proprio da questa Terra è partito verso Roma. Con la visita del Santo Padre in Terrasanta, Pietro torna a Gerusalemme. Il significato simbolico di questo gesto è importantissimo.
Per ogni cristiano il pellegrinaggio a Gerusalemme significa innanzitutto ripercorrere un cammino di conversione, ritornare alle proprie radici evangeliche, riscoprire, insomma, la propria fede nel suo nocciolo essenziale: Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio di Maria di Nazareth, nato, vissuto, morto e risorto in questa terra.
Ma se a fare questo pellegrinaggio è lo stesso successore di Pietro, allora è tutta la Chiesa che insieme al Vescovo di Roma ripercorre questo cammino. Del resto mi pare che proprio questa sia l'intenzione di Giovanni Paolo II. Non occorre elencare gesti, documenti e discorsi del Santo Padre che, in vista del Giubileo, invitano all'esame di coscienza per le infedeltà di tutti i cattolici, e a interrogarci - a duemila anni dall'Evento dell'Incarnazione - su cosa significa essere cristiani oggi, dove è l'essenziale della nostra fede e come rievangelizzare il mondo che ha diritto a incontrare Cristo. Il pellegrinaggio del Santo Padre ai luoghi santi della Redenzione, cioè alle radici della nostra fede cristiana, dovrebbe suggellare questo cammino in cui tutti noi come Chiesa siamo coinvolti e farci capire qual è il criterio per compiere questa opera di conversione: ripartire da Cristo.
Per le popolazioni cristiane locali la visita del Santo Padre è un incoraggiamento e un conforto. Siamo orgogliosi dell'importanza che questo evento avrà sul piano internazionale e sulla sua portata a livello religioso.
Cosa vuol dire essere Custode di questi luoghi 2000 anni dopo l'incarnazione di Cristo e calpestare le stesse strade dove camminò Gesù?
È una responsabilità che non porto da solo. In realtà è tutta la famiglia francescana che ha assunto da molti secoli questa responsabilità a nome della Chiesa cattolica.
Spesso le preoccupazioni logistiche e di personale, le organizzazioni e le varie istituzioni - per quanto legittime e necessarie - ci distraggono e pensiamo poco, purtroppo, all'importanza e al significato spirituale e teologico che questi luoghi hanno.
L'ambiente è cambiato radicalmente e bisogna fare un grande sforzo - a volte - per recuperare l'atmosfera e l'ambiente che furono di Gesù.
Mi capita spesso di incontrare fratelli non cristiani colpiti dal fascino e dalla ricchezza spirituale del Santo Sepolcro. Ecco, mentre noi cristiani discutiamo scandalizzati - forse giustamente - delle divisioni presenti nella basilica, queste persone, libere da tanti pregiudizi, ci ricordano l'importanza di questi luoghi, che non sono solo muri e strutture, ma innanzitutto memoria della morte e della resurrezione di Cristo.
Come Custodi desideriamo fare proprio questo: permettere a chiunque di percepire, per quanto possibile, la forza di questi luoghi. Non sempre ci riusciamo, credo, ma facciamo del nostro meglio.
Qual è il luogo santo a lei più caro e perché?
Tutti i santuari mi sono cari, perché in ciascuno si è manifestata una speciale grazia divina. Certo, vi sono quelli che sono legati al kerigma (Nazareth e Betlemme: incarnazione; SS.mo Sepolcro: passione e morte e resurrezione). Ma come non amare gli altri? Gethsemani, il santuario della preghiera sanguinante di Gesù. Cafarnao: la promessa dell'Eucarestia e la casa di Pietro, trasformata in luogo di culto sin dai primi tempi della Chiesa giudeo-cristiana. Cana, Maria di Nazareth presente e il primo miracolo di Gesù, e la consacrazione della famiglia. Tabga, Gerico, e non si può dimenticare Nain, dove Gesù restituisce il figliolo morto a sua madre addolorata e piangente, soprattutto ora che si parla tanto delle difficoltà dei giovani (droga e violenza) e dei bambini (denutrizione, mortalità, violenze).
Ma qualche predilezione ce l'ho. È per due santuari dove riesco a pregare con più attenzione per il silenzio e l'avvenimento che lì si è realizzato: Nazareth e il Gethsemani. Sono due luoghi che interpellano, coinvolgono e obbligano a dare una risposta: il sì di Maria, senza riserve, e il dono che Gesù ha fatto di se stesso per redimerci.
Qual è il contributo della vostra presenza alla costruzione di un ecumenismo reale, in vista di una convivenza pacifica?
È una sfida che ci sta di fronte. In Terrasanta, infatti, si incontrano (e a volte si "scontrano") le tre grandi religioni monoteiste, la cultura occidentale con quella orientale, la civiltà araba con quella israeliana, le diverse comunità cristiane tra loro. In questo contesto così affascinante la presenza e il ruolo dei Frati Minori non sono secondari. Le sfide che ci sono poste innanzi indubbiamente toccano il cuore della nostra vocazione francescana e ci interpellano.
La nostra presenza in Terrasanta è sempre stata a carattere internazionale, e questo facilita molto il contatto con tutte le realtà religiose e sociali. In alcuni luoghi viviamo fisicamente insieme ai fratelli ortodossi. Le relazioni a livello personale sono buone, mentre a livello istituzionale sono spesso molto formali. Cerchiamo di facilitare come meglio possiamo una migliore mutua comprensione non solo attraverso incontri di studio, ma anche a livello di rapporti interpersonali. Da sempre in occasione delle feste di Natale e Pasqua ci scambiamo visite di augurio. In diverse circostanze i capi delle Chiese, cui anche noi siamo associati per le responsabilità che portiamo, hanno firmato dichiarazioni comuni. I lavori di restauro al Santo Sepolcro sono continuati grazie agli incontri che da oltre quarant'anni tengono i nostri rappresentanti con quelli del Patriarcato greco-ortodosso e del Patriarcato armeno-ortodosso. Da qualche anno i nostri studenti di teologia fanno escursioni o incontri sportivi insieme agli studenti armeni ortodossi. Alla Legatoria, annessa alla Franciscan Printing Press, che da oltre 150 anni è la nostra tipografia ed Editrice, ogni giorno arrivano monache russe, monaci greco-ortodossi e persino israeliani e si servono con molta semplicità della nostra struttura. Sono forme di ecumenismo pratico che non fanno chiasso, ma costruiscono la vita di ogni giorno in questa città unica al mondo e aiutano a creare un clima più sereno e pacifico. A livello interreligioso il discorso è più complesso, poiché spesso anche l'aspetto politico viene coinvolto. Il nostro Centro di Studi Biblici da anni organizza convegni interreligiosi su temi specifici, che vedono la partecipazione di studiosi locali delle tre fedi monoteiste. A Gerusalemme è facile avere studiosi stranieri; non è facile, invece, trovare ebrei, musulmani e cristiani locali che si incontrino per discutere insieme di un soggetto biblico comune.
State lavorando a qualche scavo archeologico?
I principali scavi sono stati compiuti negli anni passati: Nazareth, Cafarnao, Dominus Flevit, ecc. Gli ultimi scavi sono stati realizzati a Cana di Galilea, in occasione del restauro della chiesa, riaperta al culto lo scorso dicembre. Gli scavi sono terminati l'anno scorso e hanno portato alla luce elementi di culto molto antichi e interessanti. Gli studiosi non hanno ancora pubblicato le loro conclusioni, ma sono certo che susciteranno l'interesse di molti. I pellegrini che visiteranno Cana avranno la gioia di vedere con i propri occhi i resti dei secoli passati. Al di là del Giordano, poi, si continua da anni a scavare al Monte Nebo, che ricorda la morte di Mosè, e che sarà visitato anche dal Papa. Confido che gli archeologi del nostro Studio Biblico possano prima o poi intraprendere scavi al santuario di Sefforis, dove si ammirano i resti di una imponente chiesa crociata.