CRISTIANI IN TERRA SANTA
A colloquio con monsignor Sambi
Giorgio Paolucci
«Gerusalemme è una città scelta da Dio per portare la pace agli uomini, ma gli uomini stanno tradendo questo dono». Eppure ci sono i segni di una presenza nuova
Spariranno i cristiani dalla terra in cui il cristianesimo è nato? Non è una domanda peregrina, se si considerano i trend demografici e la situazione politica della regione. Secondo uno studio dell’università di Betlemme, dalla guerra del 1967 ha lasciato la Terra Santa un terzo della popolazione cristiana, il cui peso percentuale è sceso ormai attorno al 2 per cento: 150.000 persone in tutto. Il conflitto tra israeliani e palestinesi miete vittime da entrambe le parti e rende sempre più precaria la situazione della piccola comunità che da duemila anni segue le orme di Gesù. Non ci sarà pace in Medioriente finché non sarà sciolto il nodo della Terra Santa, continua a ripetere (inascoltato) il Papa. Dalla terrazza della nunziatura apostolica che si affaccia sul Monte degli Ulivi, il nunzio monsignor Pietro Sambi sospira: «Questa è una città scelta da Dio per portare la pace agli uomini, ma gli uomini stanno tradendo questo dono. Qui c’è la chiave della convivenza per i fedeli di tre religioni, che può diventare segno di riconciliazione per tutto il mondo: per questo il Papa chiede incessantemente di pregare e sollecita la comunità internazionale a intervenire per affrontare i problemi che le due parti in causa non riescono a dirimere. Non ci sarà pace finché ognuna delle parti in causa si attribuisce tutte le ragioni e riversa tutti i torti sull’altra. La pace comincia quando si diventa veri, cioè quando si riconosce che c’è qualcosa di più grande del proprio punto di vista e ci si mette in gioco riconoscendo ciascuno le proprie responsabilità».
TURISMO BLOCCATO
L’instabilità della situazione politica, gli attentati terroristici, la costruzione del muro che ha tamponato gli attacchi dei kamikaze, ma nel contempo ha complicato l’esistenza quotidiana di centinaia di migliaia di persone e ulteriormente rallentato l’economia nei Territori palestinesi. Ma per il piccolo popolo cristiano le cose vanno ancora peggio: la seconda Intifada, iniziata nel settembre del 2000, con la sua spirale di attentati e ritorsioni militari, ha provocato una caduta verticale dei pellegrinaggi in Terra Santa, che erano la principale fonte di reddito. Alberghi chiusi, ristoranti semideserti, senza lavoro gli artigiani di Betlemme specializzati nella produzione di oggetti religiosi, in crisi le centinaia di negozi di souvenir di Gerusalemme e Nazareth. «La paura ha bloccato il turismo religioso, eppure nei sette anni che sono qui non ho mai sentito di un pellegrino vittima di episodi di violenza - spiega il nunzio Sambi -. Da qualche mese ci sono segnali di ripresa, ma è ancora troppo poco. La presenza dei pellegrini è un sostegno all’economia delle zone dove si concentrano i cristiani, rappresenta un argine all’emigrazione, e li aiuta a sentirsi parte di una grande famiglia che non ha confini geografici, la Chiesa, e a mantenere le radici nella terra dove Gesù è nato. Purtroppo dopo l’inizio della seconda Intifada, mentre il mondo ebraico internazionale ha mostrato grande solidarietà nei confronti degli ebrei d’Israele e quello musulmano ha fatto lo stesso verso gli islamici che vivono qui, i cristiani, che in precedenza venivano in gran numero a visitare i Luoghi santi, si sono volatilizzati. Non si tratta di difendere gli interessi particolari di una delle tre parti in gioco, ma di aiutare la presenza di una componente essenziale alla convivenza: i cristiani hanno rapporti vitali con le altre due comunità religiose, testimoniano una concezione della vita che mette al centro la dignità della persona, possono aiutare a costruire ponti (piuttosto che muri) diffondendo una logica di riconciliazione che aiuti a porre fine alla spirale delle ritorsioni reciproche. La loro debolezza è una perdita secca per tutti».
IL DONO DEL PERDONO
Aiutare la presenza dei cristiani significa contribuire al processo di pace: anche per questo monsignor Sambi si è felicitato per l’inaugurazione della sede della Compagnia delle Opere a Gerusalemme (di cui in settembre ha ricevuto una delegazione), che ha gettato le fondamenta di una presenza connotata soprattutto dalla cooperazione economica con aziende israeliane e palestinesi e dal sostegno a opere educative. Come la Casa di Lazzaro a Betania, unico orfanotrofio femminile nei Territori amministrati da Arafat, dove 32 giovani musulmane vengono accolte da Samar Sahhar, una delle poche cristiane della città. Le ragazzine (senza genitori o che dai genitori hanno subito violenze e maltrattamenti) la considerano la loro vera madre e lei, che fa parte dei Memores Domini, le tratta come figlie: «La verginità è la fertilità di Dio», sorride citando una frase del suo grande padre, don Giussani. È una testimonianza contagiosa, quella di Samar, che aiuta le sue “figlie” ad affrontare la vita con uno sguardo positivo anche quando è segnata da sofferenze indicibili. «Come è accaduto a Fatima, maltrattata per anni dalla madre, abbandonata in strada e che vive qui da pochi mesi - racconta -. Tempo fa è venuta con noi alla chiesa della Natività di Betlemme, ha detto che voleva chiedere un regalo a Gesù. E quando siamo usciti mi ha detto: “Gli ho chiesto di perdonare la mamma”». Dentro la Casa di Lazzaro cresce un germoglio di una nuova convivenza tra arabi e israeliani. A Betania, duemila anni dopo la resurrezione di Lazzaro, i miracoli accadono ancora.
COOPERAZIONE ECONOMICA ED EDUCAZIONE
di G.P.«L’albero d’ulivo che piantiamo è dedicato a monsignor Luigi Giussani, comune maestro di fede e, perciò, di umanità»: sono le parole che hanno suggellato la cerimonia che il 9 settembre scorso ha riunito israeliani, palestinesi e italiani su una collina alle porte di Gerusalemme, a metà strada tra il villaggio arabo di Abu Gosh, abitato da musulmani e cristiani, e quello ebraico di Ma’alé Hamisha. «Un atto d’onore nei confronti di un grande maestro come Giussani, che lega anche fisicamente il suo insegnamento e la sua testimonianza a questa terra così centrale per la riconciliazione tra i popoli - ha detto Claudio Morpurgo, vicepresidente dell’Unione delle comunità israelitiche d’Italia e membro del direttivo della CdO -. Si realizza nei fatti la possibilità di costruire insieme lavoro e sviluppo, a partire da gente che non rinnega la tradizione a cui appartiene, ma ne fa motivo di incontro con l’altro e di edificazione comune». E Raffaello Vignali, presidente della CdO, ha sottolineato che questo nuovo fronte di impegno «non nasce da un progetto elaborato a tavolino, ma è la forma istituzionale che vogliamo dare a una trama di rapporti e di lavoro in atto da tempo tra italiani, israeliani e palestinesi. Lo spirito della CdO, del “fare con”, alimenta la cooperazione economica e l’educazione che sono i due grandi motori per costruire la pace».
Da Tracce N. 10 - novembre 2004